La Messa è rock, andate in pace…

(l’Unità, 26 maggio 2008) – Saldare il cielo con la terra. Questo incitava a fare don Ciotti mentre una doppia fila di scout ammaliati gli stava di fronte, seduta sul pavimento del brutto anfiteatro. Mentre un migliaio di persone assiepate sui gradoni della "piastra" di Lunetta lo applaudiva sognando di potere realizzare un giorno la società di cui lui tracciava, con poche e semplici parole, la fisionomia: giustizia, verità, eguaglianza, responsabilità. Lunetta: un quartiere di Mantova che sembra una periferia di Sofia. Scelto dal Mantova Musica Festival per tenervi il momento-clou della cinque giorni musicale: la celebrazione della messa rock in cui esaltare il titolo della manifestazione, "La mia vita è come un rock". Per usare il genere musicale più amato del dopoguerra come metafora della vita e del suo senso. In un momento in cui, per tornare alle esortazioni di don Ciotti, la parola di verità deve prevalere sul silenzio; e in cui siamo chiamati ad attraversare i deserti che costellano le nuove mappe della società.

La messa rock di ieri mattina , celebrata anche da don Gino Rigoldi (cappellano del carcere minorile di Milano) e da don Alfredo Rocca (parroco del quartiere di Lunetta), ha assunto, minuto dopo minuto, un senso e un valore insospettabili da parte degli stessi organizzatori. Certamente figli del progetto del festival, ma proiettati – e molto – la di là degli stessi confini del progetto. Più passava il tempo, più le parole di don Ciotti e di don Rigoldi si mescolavano con la voce struggente di Antonella Ruggiero, con le tonalità gospel di Delmar Brown, con le raffinatezze melodiche di Raiz o con la verve spumeggiante degli Ardecore, più si fondevano tra loro le ragioni degli applausi che provenivano dai gradoni dell’anfiteatro, più si capiva di trovarsi davanti a un evento che stava rompendo, e non solo per un’ora, steccati e frontiere. Esattamente come ha fatto per oltre mezzo secolo la musica rock. D’un colpo solo sono caduti muri e distinzioni. E’ caduta anzitutto la barriera tra musica rock e spiritualità. Altro che sesso e droga; vangelo secondo Matteo e don Tonino Bello, piuttosto. E musica come voce "che chiede giustizia e pace". E’ caduta la barriera tra generi musicali apparentemente inconciliabili (quella della Ruggiero era soprattutto musica sacra). Sono saltati i confini invalicabili tra la Mantova delle splendide piazze rinascimentali, quelle in cui si svolge senza sosta il festival, e la Mantova delle periferie emarginate. O i confini tra bello e brutto, quest’ultimo riscattato a bello proprio grazie alla fusione di spiritualità e musica. Saltati, ancora, e del tutto, i confini tra cattolici e laici. Spariti, letteralmente. E se non ha destato scandalo una versione erotica del "Cantico dei cantici", altrettanto un’attrice ha deciso d’istinto di fare la comunione dopo trent’anni, spiegando "mi sono detta: ma se non faccio la comunione alla messa rock, quando mai la farò?". Caduti anche, negli interventi degli oratori, i confini che vorrebbero tenere separato l’occidente dai suoi nemici, che premono alle porte delle nostre vite serene e possidenti.

Eretti, piuttosto, altri confini. Confini netti. Quelli tra chi usa le parole per occultare le verità del mondo, a volta anche schierandosi con i buoni princìpi, e chi le usa per la denuncia irriverente che si fa anch’essa, (pensate l’eresia) "annuncio di salvezza". Oppure tra chi fustiga la gioventù di oggi abdicando al compito di offrirle valori e chi pensa che "dobbiamo ricominciare a parlar bene dei giovani", e che, piuttosto che raddoppiare le ore di educazione civica, crede sia importante dare ai ragazzi testimonianze di vita. Insomma, in un festival musicale che ha dimostrato una volta di più di non essere "un festival tra gli altri" è successo qualcosa di nuovo, è nato qualcosa che sa di civile, sociale e culturale insieme. L’incontro e la rottura degli steccati non sono avvenuti infatti sul piano del galateo politico, in omaggio ai dettami di un improbabile monsignor Della Casa della seconda o terza Repubblica. Ma sono avvenuti sul piano dei valori, della dignità e qualità della persona, sul senso della vita. Il che ha portato, a sua volta, anche a ridisegnare distanze e geometrie del mondo e della mente. Come ha detto una giornalista, "è incredibile che io debba essere venuta qui, a un punto d’incrocio tra la chiesa e il rock, per sentire che cos’è la politica".

Già, la politica che esalta la sua presenza e il suo primato senza che si parli di politica, senza che nemmeno la si nomini. Mentre nei Palazzi la politica si svuota di senso parlando ogni minuto di se stessa. E’ un paradosso dei nostri tempi. Per questo, in fondo, la messa rock di ieri non ha poi tanto a che vedere con le messe beat degli anni sessanta, benchè potesse a prima vista rievocarle. Perché qui non abbiamo più una chiesa che gioca la carta della modernità dei costumi e delle forme di comunicazione per ricostruire un consenso in sofferenza. Ma abbiamo un mondo multiforme che cerca e trova nuove vie per comunicare valori, per contrastare il vuoto, per attraversare il deserto della società ricca e senza qualità. Per porre domande di senso. Esistenziali e politiche al tempo stesso. Ieri qualcosa, nella comunicazione politica esangue e balbettante di questi mesi, si è rotto. Anche oltre la percezione immediata di chi era presente, si è aperta una strada. E questa, per chi sa ascoltare i tempi e vuole interpretarli, è un’ottima notizia.

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