Calvino e l’opposizione

(l’Unità, 22 giugno 2008) – Alla sinistra Calvino piace. Da sempre. E si capisce. La buona letteratura, come la buona filosofia, è nutrimento nobile della politica. Solo che invece di farsi ispirare dalle grandi “Lezioni americane”, la sinistra, o la sua versione Pd, pare subire le suggestioni grottesche della nota trilogia calviniana e delle sue immaginifiche figure. Tanto che sembra riversarle, oggi, nel proprio modo di fare opposizione: a volte inesistente (come il cavaliere), a volte dimezzata (come il visconte), spesso rampante (come il barone).Viene spontaneo pensarlo osservando i mesi di dibattito e di contegno politici che si sono snodati davanti a noi e gli accadimenti di questi giorni. Accadimenti che chiedono voce alta e ferma, spirito repubblicano e coerenza democratica. E che invece hanno visto perseverare voci incerte e timide. Affiorare la tentazione di chiedere scusa per il solo fatto di esistere, l’assenza di personalità tipica di chi indugia a difendere i principi che dovrebbe rappresentare, il timore di subire i (fisiologici) rimproveri dei propri avversari e dei loro simpatizzanti.

Calvino. Per dire che nelle democrazie l’opposizione di sua maestà non esiste. Che il perdente che vuole piacere a chi vince o ai suoi amici svolge una funzione inesistente o nel migliore dei casi dimezzata. Anche se intarsiata di certe illusorie forme di rampantismo. L’ennesimo assalto condotto da Silvio Berlusconi ai principi costituzionali, l’ennesimo uso privato del potere istituzionale, chiedono oggi una risposta netta e impavida. Che non vuol dire né violenta né ideologica, né torbida né mestatrice. Ma, appunto, netta e impavida. C’è da trasecolare nel ripensare come il centrosinistra abbia agito in proprio a delegittimare qualsiasi sua risposta possibile a nuove arroganze e prepotenze anti-costituzionali da parte del governo uscito dal voto di aprile. Si sia quasi scavato la fossa, abbia rilasciato una dichiarazione preventiva di immaturità politica per qualsiasi azione fosse necessaria per difendere i principi di fondo di ogni sistema democratico.

Chissà quale demone non calviniano ha indotto ad affermare che si sarebbe messa fine a quell’assurdo, incivile contrasto con Berlusconi sulle leggi della vergogna; come se la vergogna avesse dovuto provarla chi le aveva combattute, quelle leggi, e non chi le aveva imposte incocciando spesso, fra l’altro, nelle bocciature della Corte costituzionale.
Mi domando che senso abbia avuto fornire all’opinione pubblica una rilettura così devastante e caricaturale dell’opposizione condotta al governo Berlusconi dal 2001 al 2006. Che senso abbia avuto, dopo averli accarezzati acriticamente nei momenti di alta marea, deprezzare tanto affannosamente la funzione dei girotondi (che poi erano autentici movimenti sociali e civili), ossia proprio il principale propellente della mobilitazione elettorale che portò dal 2002 al 2005 a vincere tutte le tornate amministrative dopo l’afasia della sconfitta del 2001. Me lo domando perché ricordo in quegli anni un’opposizione ben diversa da quella che si è voluto narrare. Che avrà trascinato con sé anche ciechi radicalismi come fa ogni movimento appena vigoroso, di destra o di sinistra. Ma che non era affatto pregiudiziale, insaziabile di conflitto con il Nemico di Arcore. Non lo era, per nulla, nemmeno sul tema della giustizia, che pure fu il terreno di scontro più insistito e più aspro.

Consulto il materiale parlamentare e politico negli scaffali della mia libreria, ripasso gli atti, gli interventi, le ragioni dell’opposizione. E leggendoli mi domando che cos’altro avrebbe dovuto fare un’opposizione appena degna di questo nome. Non avrebbe forse dovuto tenere la testa alta nelle aule parlamentari, anziché usare il solito registro della doppiezza? Non avrebbe dovuto fare sit in o manifestazioni, come ne fanno regolarmente (e senza complessi di colpa) i movimenti democratici o per i diritti civili di tutto l’Occidente, a partire dagli Stati Uniti? Rovisto nei miei scaffali e trovo che è radicalmente falsa questa vulgata dell’opposizione pregiudiziale, della contrapposizione manichea cercata dalla sinistra per carestia di idee riformatrici. Nonostante il clima prodotto dalle sistematiche forzature della pubblica decenza, nonostante i ripetuti attacchi alla magistratura e alla sua indipendenza, si ebbero infatti proprio sulla giustizia molti e importanti casi di cooperazione legislativa. Sul codice di procedura civile, per esempio. O sulla legge sulla violenza sugli stadi. O sulle norme contro il terrorismo. Come pure sull’omissione di soccorso. O sulla pedofilia. O sulla riduzione in schiavitù e sul traffico di esseri umani. E su altre decine di provvedimenti.

Occasioni in cui non solo non vi fu ostruzionismo, ma in cui vi fu astensione o addirittura voto a favore, senza che si provasse alcun impaccio per il venir meno, formalmente, del ruolo di oppositori. Perfino sulla combattutissima riforma della giustizia l’opposizione si ingegnò a svolgere un ruolo propositivo, tanto che fu proprio dai suoi parlamentari che venne l’idea del manager giudiziario, recepita nel testo finale dal ministro Castelli. E tralascio la estrema benevolenza verso le politiche di sicurezza del ministro Pisanu. Era il merito delle cose, cioè, esattamente il merito delle cose, a tracciare di volta in volta i confini e le differenze. Ora è vero che i leader politici in genere nulla sanno dei lavori parlamentari, preferendo non frequentarli (e questa è la causa di molte genericità dette in tivù, che accentuano l’impressione – esse sì – di un’opposizione pregiudiziale); epperò prima di accreditare con tanta foga la vulgata di un’opposizione tutta pane e fiele, sarebbe stato bene documentarsi. E pensare.

E altrettanto sarebbe bene ora che si aprisse nel centrosinistra un bel dibattito su che cosa è la maturità politica, su chi mette in politica le necessarie dosi di ragione (i ceti medi riflessivi dei girotondi o i cantori di Berlusconi statista?), su come si conquistano e si mantengono i voti. Davvero difendere con nettezza i principi di legalità fa perdere consensi? Davvero per questo la sinistra è stata punita alle scorse elezioni? O non è stata punita, magari, per l’indulto, e, al di là della giustizia, per avere affondato l’immagine del governo Prodi sotto una marea di ricatti, ambizioni personali e rendite ideologiche? E non viene punita ora per non sapere rappresentare i suoi elettori? Davvero la domanda alta di legalità condanna agli insuccessi? O bisogna ricordare il divario tra i voti raccolti da Rita Borsellino (quella che non ci avrebbe “mai fatto vincere”) e i più recenti, disastrosi risultati siciliani?  La prima condizione per essere credibili e per non slabbrare, umiliare il proprio schieramento è di non darne in pubblico una storia ingiustamente offensiva. Dell’Utri e Berlusconi rivendicano che Mangano fu un eroe. Noi invece parliamo male dei girotondi e dei movimenti, parlamentari e non, che ci diedero anima e slancio. Identità forti, identità deboli. Questo è il problema.

P.S. Mi permetto di insistere. Sette anni fa presentai una proposta di legge che prevedeva che Berlusconi e dieci persone da lui insindacabilmente indicate fossero sottratte alla giurisdizione penale della Repubblica. In modo da preservare almeno l’ordinamento repubblicano e la giustizia italiana dagli effetti di sistema della (prevedibilmente infinita) legislazione di favore. Uno sbrego più grande alla Costituzione in cambio di una maggiore tutela dell’interesse pubblico diffuso. C’è ancora chi la ritiene solo una provocazione?
 

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