Melampo alla festa del Piddì. Non presentate quei libri

Ho perfino pudore a dirlo. Ma sapete che cos’è successo alla premiata festa nazionale del Pd di Firenze? Che hanno respinto al mittente tutte e quattro le proposte di presentazioni di libri di Melampo. Tutte gentilmente prese in considerazione, visti i buoni rapporti sempre esistiti tra le vecchie feste dell’Unità e la casa editrice (di cui il sottoscritto è, con Lillo Garlisi e Jimmy Carocchi, bocconiani ottimi, uno dei fondatori). Ma, nonostante la gentilezza, tutte inesorabilmente rigettate. Questioni di qualità? No, di titoli, semplicemente di titoli. Proponetecene altri, ci è stato garbatamente suggerito. Sì, insomma, il problema sono gli argomenti trattati. Il che, ne converrete, è più inquietante.

Volete dunque sapere quali sono i quattro titoli “sconsigliati” e di fatto messi al bando? Il primo: “Come diventare gay in cinque settimane”, scritto da Claudia Mauri, giovane e spiritosissima giornalista gay. E qui la questione, va da sé, sono i gay (ormai il comitato che decide “che cosa si può” è misto, ex diessini ed ex margheriti). Il secondo titolo impossibile è quello di Mario Portanova: “Inferno Bolzaneto”. Qui pare che la ragione sia che ci sono altri dibattiti sulla “sicurezza”, mah… Il terzo è quello di Franco Stefanoni: “Il Finanziere di Dio. Il caso Roveraro”. Dice: e perché dovrebbe far paura il giallo dell’assassinio di Roveraro, finanziere cattolico? Boh, forse perché il sottotitolo parla di affari, misteri e Opus Dei. Ah, l’Opus Dei… Quarto titolo: quello di Giampiero Rossi e Simone Spina, “I boss di Chinatown”. Qui non mi raccapezzo. Rapporti diplomatici con la Cina? Altri libri sulla materia? Fatto sta che alla festa nazionale del Pd – questo è il succo della vicenda – non si può discutere di gay, di Bolzaneto, di affari e misteri d’Italia. Scusate, e allora dove se ne discute? Ma questa è un’abdicazione a pieno titolo della politica. Di una politica che non vuole tra i piedi nulla di sgradevole, nulla di aspro, nulla di compromettente. Anche quando non le si chiede di “dare una linea” (capirei l’imbarazzo), ma di discuterne almeno. Mi si spiega allora che esiste a fare un partito progressista? E com’è possibile che un giornale come il Guardian dedichi (vedi l’ultimo “Internazionale”) pagine e pagine alla Diaz e Bolzaneto mentre il maggiore partito progressista d’Italia, nel più grande evento politico-culturale dell’anno, decide di non parlarne? E poi perché questa paura quando il libro in questione si limita a riportare l’atto di accusa dei magistrati genovesi, muovendosi tutto all’interno di una ricostruzione istituzionale? Insomma, domanda delle domande: quando promettiamo di essere più garantisti lo diciamo solo pensando alle immunità di B?

C’erano una volta le feste dell’Unità. Ed erano il luogo della libertà. Quelle del Pd sembrano destinate a diventare il luogo della censura. Della selezione dei temi, di ciò che si può, di ciò che è opportuno, di ciò che non è disdicevole e non crea imbarazzi. Ma s’è mai vista una cultura senza imbarazzi?

Ahimé. L’altra sera a Catania, in una piazza Bellini gremita, Beatrice Luzzi ha recitato “Poliziotta per amore”, anche in ricordo del commissario Beppe Montana ucciso dalla mafia. E dentro, nel testo, ci sono eccome i passi su Genova. Ma il questore e il prefetto e il colonnello dei carabinieri e molte poliziotte erano alla fine visibilmente commossi per tutto l’impianto dello spettacolo. Ecco: davvero alla festa del Pd non si può parlare di ciò che alla gente per bene in divisa non genera né irritazione né rigetto?

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