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Gli stakanovisti genovesi e la superiorità della frutta
Giuro che questa è vera. Stamattina, 16 agosto (lo so, siamo nel 17 da mezz’ora, ma fa niente), oggi 16 agosto ribadisco, verso le 11 mi telefona uno da Genova. E mi fa: pronto sono il tal dei tali, scusami se ti disturbo, probabilmente sei in vacanza. E io, gelido: sì (e dove vuoi che sia il 16 agosto prima di un week end, mi vien da chiedergli). Lui, con l’aria dello stakanovista: io no. Io -che ormai conosco i genovesi-, ancora più gelido: vuol dire che in vacanza ci sei già stato o che stai per andarci, o tutt’e due. Lui: sì, in effetti sono stato venti giorni negli States. Ecco, minchiazza, sempre per usare l’interiezione di Lillo. Uno che è stato venti giorni di fila negli States, non dice “io no” come per dire “io lavoro mentre tu te la spassi”. Dice “sono appena tornato da un bel viaggio” (e me ne farò un altro a settembre, quanto ci scommettete?). C’è proprio qualcosa di psicanalitico in questo lato sconosciuto dei genovesi. Perché hanno tanto bisogno di far vedere che lavorano “di più” o che tu lavori “di meno”? Perché questo rapporto ossessionato e ossessionante con l’idea della vacanza (altrui)? Il fatto è che vorrebbero trovare tutti ai loro posti come soldatini quando loro decidono di tornare dalle loro vacanze (che non sono mai vacanze). Né trascuro l’ipotesi (a pensar male ci si azzecca) che questo stare eroicamente al lavoro in agosto implichi in realtà la scelta di lavorare quando …c’è meno da lavorare.
Ho invece pensato molto bene del ristorante “La Stiva” di San Felice al Circeo (di fronte al Park Hotel, quello dove la sera del 15 ho presentato il libro su Meroni con Mario Sconcerti). Perché ne ho pensato bene? Perché ha la frutta. E in abbondanza. E buona. Dice: e allora? Ma perché, non ve ne siete accorti che, specie al nord, nelle trattorie e nei ristoranti non si dà più la frutta? Che addirittura non c’è? Che ti comunicano serafici che ci sono solo “ananas e frutti di bosco”? Per non dire della baita in Val d’Aosta dove con l’aria più naturale di questo mondo mi hanno detto “no, noi frutta non ne abbiamo”? Ma come non l’avete? Ma una notizia così si dà battendosi il petto, chiedendo scusa e poi magari andandosi a confessare. Non si può rivendicare la mancanza della frutta. Colpa nostra, mi vien da almanaccare, che tempo fa non chiedevamo la frutta perché “quella me la mangio a casa, mica butto via i soldi”. E c’era una ragione, ricordo bene lo scandalo che provai nel ’68 quando vidi un mio compagno del pensionato Bocconi spendere novanta lire per una banana in pizzeria. Ora però è diventata un’altra cosa. I soldi ci sono. La ragione è invece la pessima alimentazione. Lo snobismo. O forse, chissà, la paura di tagliare la frutta in pubblico con coltello e forchetta. So che sento tutti che cicalecciano “Ci facciamo un cafferino”, un grappino e via di seguito. Adattandosi come niente alla drammatica solitudine dell’ananas. Amici: la rimonta civile parte anche dalla frutta. Per questo avere trovato alla “Stiva” (come già in Romagna l’anno scorso) pesche, meloni, albicocche, susine, uva e angurie mi ha convinto che il consiglio per gli acquisti fosse obbligatorio. E ricordate: la frutta ha le vitamine. E un paese mediterraneo senza frutta è proprio alla frutta (ah ah ah, carina, eh? Adesso ve la spiego…).
P.S. il 17 è Sant’Emilia: auguri da qui alla ragazza. Fa finta di niente ma le fa piacere.
Nando
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