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Intolleranza. Miss clandestina
(l’Unità, 25 agosto 2008) – Chi è la più bella del reame? Al concorso di Miss Muretto poteva diventarlo una bella ragazza di colore. Vent’anni e la fascia di “Miss fotomodella”. Pare che avesse davvero tutti i requisiti per vincere. I lineamenti del volto, il fisico slanciato, la pettinatura alla Naomi, e l’immancabile tocco di fascino esotico. Che le avevano già fatto vincere altre competizioni estetiche a Pontebbia e a Lignano. Insomma, nel giro affollato dei concorsi di bellezza stava nascendo una piccola stella. Forse una carriera televisiva. O almeno, questo sognava la protagonista. Finché, come in tutte le favole che si rispettino, il sogno proibito si è infranto con l’arrivo dei carabinieri. Giunti di notte all’albergo del Sestriere in cui si tenevano le selezioni piemontesi del concorso. Motivo: Mame Ndaye, che ambiva a farsi chiamare Beatrice, è immigrata clandestina. E’ arrivata in Italia dal Senegal nella primavera del 2007, ha ricevuto un decreto di espulsione due mesi fa dalla questura di Pordenone per essere priva di permesso di soggiorno, e soprattutto ha esibito al concorso un documento contraffatto. Una carta d’identità rilasciata dal comune di Milano e inesistente all’anagrafe.
Sembrerebbe tutto chiaro. Esiste una legge, la legge è uguale per tutti, presentare documenti falsi è un reato. Punto. Risulta perfino ozioso disquisire dell’opportunità che i carabinieri la dichiarassero in arresto prima della conclusione del concorso. Si rischierebbe di impelagarsi in sedicesimo, con sprezzo del ridicolo, in polemiche tipo “gogna mediatica” o “giustizia a orologeria”.
C’è qualcosa di più sostanziale invece. (CONTINUA)
Mame-Beatrice viveva vicino a Udine con un fidanzato. E nei due mesi trascorsi dal decreto di espulsione nessuno aveva segnalato alla questura udinese la presenza della ragazza sul territorio. Nessuno si era scandalizzato della sua scelta di continuare a vivere in Italia, almeno il tempo di provare a guadagnare qualcosa o farsi una piccola fama. Lo scandalo è nato quando la ragazza di colore ha iniziato a infilare nel suo “palmares” una miss dietro l’altra. Allora si è mossa l’indignazione legalitaria del cittadino o, più verosimilmente, della cittadina per bene, forse una concorrente. Allora le informazioni “riservate” sono state messe nero su bianco in una lettera anonima, corredate dell’allarme sul pericolo di fuga (“se non vi affrettate scappa in Francia”). E’ questa ipocrisia sociale che scuote e fa riflettere. L’ipocrisia senza la quale non ci sarebbero leggi di severità draconiana, che rendono possibili le manette e un processo per direttissima (previsto per oggi) in cui la ragazza, incensurata, rischia dai due ai sei anni.
Si tratta dell’ipocrisia che porta a contemplare l’esistenza dei clandestini nelle pieghe e nelle piaghe della nostra società. A osservarli con indifferenza mentre cercano di sfangarsela in tutti i modi per raggranellare di che vivere. O a cercare di non vederli, come gli operai cinesi rinchiusi nel capannone vicentino di proprietà dell’assessore leghista. Ma a non tollerare che mettano il naso fuori. Che pensino di potere far fortuna, vincere qualcosa, salire il primo gradino della scala sociale. Possono esistere purché non abbiano grilli per la testa, meglio se si fanno sfruttare senza fiatare in qualche fabbrica clandestina, in qualche cantiere fuorilegge o su qualche circonvallazione, al riparo della vista dei nostri bambini. Questo ci racconta la vicenda di Mame-Beatrice, più ancora dell’ingiustizia di una legge.
A noi, a cui tocca riflettere sui valori e sulle leggi, si pone però il problema di aprire gli orizzonti della discussione. E di chiederci, partendo da un caso che investe di striscio un mondo e una carriera comunque molto ambiti, quelli delle tivù e delle veline, quanti siano i giovani che ospitiamo clandestinamente che, al di là dell’avvenenza fisica, potrebbero immettere energie e talenti nei mondi del lavoro, del commercio, della stessa produzione intellettuale. Che, cioè, potrebbero aiutare il paese a crescere. Per chi non darebbe mai il voto amministrativo nemmeno a chi risiede e paga regolarmente le tasse in Italia, questo non è un problema. Per noi, invece, dovrebbe incominciare a diventarlo.
Nando
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