Incontrarsi a Milano. La Parmalat e i biscotti

Incontrarsi a Milano, che è un po’ più facile che innamorarsi a Milano (Memo Remigi).  Davanti al tribunale ho incontrato una signora mia amica, che ho conosciuto abbastanza bene nella stagione dei girotondi. Mi ha spiegato che lei va a ogni udienza del processo Parmalat, anzi che ne è diventata una specie di icona. Ha deciso di farlo per difendere i diritti di sua figlia, che ora è all’estero e che allora buttò in quell’avventura 10mila euro. Essendo una donna abbiente, mi ha subito prevenuto ogni obiezione (che non le avrei fatto): non si danna per quei 10mila euro ma per principio. Perché nel processo si è trovata a fianco di un operaio italiano che dopo decenni di lavoro in Svizzera aveva messo in quei titoli tutti i propri risparmi. Oppure della moglie di una vittima del disastro aereo di Linate che, per la sicurezza della famiglia, aveva investito in quei titoli la somma dell’indennizzo. Ecco, questa è la gente beffata da quei criminali che dalle banche consigliavano, dall’alto della loro accreditata sapienza tecnica, di comprare quei bond. Mi ha detto pure, la mia amica, che ormai al processo lei è la sola parte civile sempre presente. Certo, perché i disgraziati non ce le fanno. O non hanno il tempo o non capiscono. Domanda: sono più criminali questi o chi ruba i biscotti? Domanda per nulla demagogica, visto che non riusciamo più (e forse non siamo mai riusciti) nemmeno a sentire il peso delle proporzioni.

Sempre davanti al tribunale (non ero imputato, avevo appuntamento con mio figlio) ho incontrato Gianni Barbacetto, uno dei più liberi e bravi giornalisti italiani. Ho saputo che domani sull’Unità dovrebbe uscire una pagina sulla mafia a Milano, che ci appaia in due diversi articoli. Mi è sembrato bellissimo. Un balzo indietro di vent’anni o trent’anni. Perché, per quanto amici e attratti d’istinto dalla stessa materia, abbiamo scritto insieme solo sulla “Sinistra” (ah, non lo sapete che cos’era, eh? vabbe’, ve lo dico io: quotidiano di grande successo per cento giorni, nel ’79, ci misi dentro la mia prima tredicesima…) o su “Società civile”, che dirigevamo a rotazione (e questo guai a chi non lo conosce!!).

Mio figlio invece in tribunale ha incontrato Giancarlo Caselli. Rompendo gli scrupoli professionali del “figlio di”, gli si è presentato. Pare, si narra, che sia stato un bell’incontro. Io conobbi Caselli mentre parlava con un altro Carlo Alberto dalla Chiesa. A Torino. Avevano appena catturato Patrizio Peci. Il giudice non aveva ancora i capelli bianchi, ovviamente. Ma un po’ argentei sì. E mi ispirò simpatia. Almeno quella volta non mi sbagliavo.

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