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LA LOBBY DEL MOVIMENTO STUDENTESCO. La sera andavano in Santo Stefano
(Europa, 2 ottobre 2008) – La sera andavano in piazza Santo Stefano. Ma ci andavano anche di giorno. Appena possibile. Perché piazza Santo Stefano era per loro l’ombelico del mondo. Il luogo da cui interpretarlo e decidere come cambiarlo. Erano quelli del Movimento studentesco della Statale di Milano, da cui piazza Santo Stefano distava pochi metri. Quelli di Capanna, Cafiero e Toscano. Di loro non si parla mai, se non per ricordare una certa, diciamo così, irruenza del servizio d’ordine, ribattezzato nella memoria generazionale "i katanga". Eppure giustamente fanno notare di essere probabilmente l’unica delle formazioni della nuova sinistra sessantottina (nel ‘76 con Toscano e Cafiero divennero Movimento lavoratori per il socialismo) a non avere prodotto né salti della quaglia verso il Cavaliere né salti nel cerchio infernale del terrorismo. E ricordano pure di avere offerto nella scorsa legislatura il massimo di ex-sessantottini tra governo e parlamento.
Da un po’ di settimane hanno preso a discutere intensamente. Di loro e tra loro. Sotto traccia di nuovo, perché non hanno mai fatto notizia come Lotta continua e il Manifesto. E invece qualche spunto interessante c’è. Il via lo ha dato Giovanni Cominelli, già dirigente di spicco dell’organizzazione, filosofo di formazione cattolica, una delle intelligenze più brillanti di quel periodo. Il quale si è presentato al meeting di Rimini e ha invitato a seppellire il sessantotto. A rivederlo come si è fatto con la Resistenza. Ha indicato le colpe del comunismo, non "bellissima idea male realizzata", ma "pessima idea realizzata benissimo". E ha espresso la speranza che la fede gli si riveli. Sul suo lungo e inquieto cammino ha scritto un bel libro per Guerini, "La caduta del vento leggero". Ma come hanno accolto i suoi compagni di allora questa conversione? Risposta di Cominelli: l’insulto più carino è "di essere un voltagabbana, probabilmente anche prezzolato. Pensano che stia invecchiando, o che abbia qualche malattia mentale".
Gli ha subito replicato in rete Sergio Vicario, ora noto professionista della comunicazione, anticomunista doc da decenni, già simpatizzante, dall’interno del Mls, del socialismo craxiano. E che però tiene ecumenicamente insieme da tempo tutti i compagni di allora con lettere, iniziative personali, inviti pubblici. Vicario ha voluto ricordare quel che alla fine degli anni settanta lui e altri già opponevano a chi vedeva come inevitabile l’approdo nel Pci. E cioè che non è affatto vero che nel grande magma di idee da cui nacque il ’68 il filone comunista fosse dominante. E chiede anzi polemicamente a Cominelli se la dominanza conquistata negli anni da quel filone non fosse proprio dovuta al fatto che in Italia, diversamente che in altri paesi, la componente di origine cattolica era assai più "ingombrante". Per concludere con una domanda a bruciapelo all’amico diventato ciellino: "posso capire la ricerca del senso religioso, ma non trovi che sia un po’ contraddittorio farlo all’interno dell’ultima organizzazione di fatto ‘leninista’ rimasta in Italia?". Nel dibattito in rete è intervenuto anche un sociologo di chiara fama come Guido Martinotti, ai tempi uno dei più benevoli e aperti alle ragioni del movimento. Che ha lanciato una strepitosa provocazione: il più grande film sul Sessantotto, ha detto, è Forrest Gump. "Attraversa la storia di corsa con energia un po’ insensata, compare per caso nel centro della scena dei maggiori eventi, incappa senza volerlo in enormi fortune, e si sdolcina nell’intimismo più sfrenato, consolandosi con qualche cioccolatino". Martinotti ha spiegato che "sentimentalmente" quelli che hanno svoltato lo disturbano, gli ricordano il don Abbondio che è in ciascuno di noi. Ma ha anche sferzato le consuete narrazioni reduciste della storia di quel periodo. Ed ecco che proprio in queste settimane, come guidato da una congiunzione astrale, è uscito per Baldini Castoldi Dalai, "Passate col rosso", un libro di Roberto Tuminelli, ex dirigente del Movimento studentesco, che del reducismo ha indubbiamente molti tratti. Diciamo un reducismo temperato. Ma che ha il pregio di recuperare episodi da una memoria sepolta, restituendo qualcosa dell’umanità quotidiana del tempo (fra l’altro la pagina più bella è quella sulla morte della madre nel pieno della contestazione).
E tuttavia il dibattito sul come eravamo non è solo al passato remoto. Come mai lo è, a dispetto delle apparenze, alcun dibattito di questo tipo. Così ha coinvolto, per esempio, anche la figura di Sergio Cusani e il suo comportamento processuale. In una trasmissione serale su Rai 3 su Tangentopoli, l’ex finanziere ha infatti ricondotto le ragioni del suo silenzio davanti a Di Pietro ai principi della propria formazione politica nel Movimento studentesco. Sergio Vicario, instancabile animatore di questo variopinto villaggio storico-telematico, ha plaudito – nuovamente in rete – all’affermazione di Cusani, parlando di un "imprinting" positivo di quell’esperienza, rintracciabile nella consapevolezza dei diritti dei singoli di fronte al potere (giudiziario in questo caso). Ma Gianni Barbacetto, curatore della puntata televisiva e noto giornalista della linea anticorrotti, gli ha risposto: apprezzo Sergio per molti motivi, ma "sono ancora in disaccordo con lui sulla sua ‘omertà’: per me svelare tutto non è un modo per alleggerire le proprie responsabilità, ma per evitare l’Italia dei ricatti". "Il movimento studentesco mi ha formato in molti valori", ha ammesso Barbacetto, "ma l’omertà di gruppo era invece un dislvalore di cui mi sono spogliato".
Finito qui? No. In dissenso da Barbacetto è intervenuto Roberto Peretta, uno dei responsabili culturali del movimento. Che è partito da Hannah Arendt per richiamare il principio della responsabilità individuale ed azzardare il paragone con il silenzio di chi sotto tortura non tradisce i compagni di una lotta di liberazione (anche quella è omertà di gruppo?, domanda). E per concludere, in controtendenza con gli anni settanta, che il personale non è politico e che "Sergio Cusani, come chiunque altro, è prima un individuo che un individuo politico".
Ce ne sarebbe abbastanza per una bella foto di gruppo. Ma qui, giustamente, non sta fermo nessuno. Si muovono anche i reduci.
Nando
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