Pio La Torre. L’ITALIA DI COMISO

(l’Unità, 13 ottobre 2008) – C’era qualcosa di antico, quasi un sabato del villaggio comunista, nella piazza di Comiso dell’altro ieri. Nella fila di anziani accomodati in fondo sulle bianche sedie di plastica già due ore prima dell’inizio. Nelle finestre chiuse, sigillate, tranne l’eccezione – un minuto, non di più – di tre donne e un bambino in braccio quando l’altoparlante ha propagato nell’aria la voce di Walter Veltroni. Nel palco tutto inesorabilmente maschile, unica anomalia Anna Finocchiaro. Nelle palme smunte che si intravedevano nella discesa verso la strada per Catania. Nei locali affacciati sulla piazza, con la sede della “Lega di miglioramento dei contadini” e alla sua sinistra una lapide in ricordo del sangue versato dai dirigenti delle lotte per la terra, datata 1970.

Perfino la vistosa presenza dei cattolici del centro studi “Achille Grandi” con le loro numerosissime bandiere, mescolate a quelle delle Cgil di Agrigento o della Fiom Cgil di Siracusa, faceva sabato del villaggio comunista, ribadendo quella tipica combinazione estetica e linguistica che segnava le manifestazioni in cui si univano, onorando le bandiere rosse, “le grandi forze popolari” schierate contro la mafia. La stessa scritta che sormontava il palco, “Per la pace, lo sviluppo, la democrazia”, echeggiava formule antiche, portava con sé una malinconia berlingueriana. Non fosse stato per la voce di Ligabue diffusa nell’attesa; o per quel “contro le mafie”, espressione coniata in questi anni per dare alla mafia il suo giusto, inquietante plurale; non fosse stato per quel www.piolatorre.it che occhieggiava in un punto della coreografia, sarebbe sembrato di essere stati catapultati in un film di tanti anni prima.


E invece era una giornata di modernità, nel bene e nel male. La
modernità di un paese che la lotta alla mafia ha incominciato a farla
sul serio, anche grazie a Pio La Torre, che ne è stato uno dei più
grandi ispiratori. Un paese che per virtù e per sacrificio di
quell’antico e moderno dirigente comunista ha ora una legge che
consente di colpire nella sua specificità l’associazione mafiosa; dove
la festa è finita per i boss portati a lungo nei tribunali in ceppi
tanto vistosi quanto pronti a trasformarsi in champagne per festeggiare
le assoluzioni. Un paese che ora può confiscare i beni ai mercanti di
morte, ai padrini scellerati. E può pure darli a degli anonimi ragazzi
antimafiosi per coltivarli e metterli a reddito per fini sociali, come
testimoniava sul palco la bella faccia siciliana del giovane presidente
della cooperativa “Pio La Torre”. Tutto questo è modernità, modernità
che ha vinto sul delirio di potere, sulla pretesa di illegalità che i
poteri criminali avevano deciso di dichiarare di persona all’uomo che
più rappresentava la prima Repubblica, quell’Andreotti andato in
Sicilia a colloquio con Stefano Bontate per parlare, prima e dopo
l’omicidio, di Piersanti Mattarella.

Ma nel sabato di Comiso si
respirava anche la faccia sfrontata della nuova modernità,
reincarnazione in altre forme delle antiche voglie e degli antichi
fastidi. In fondo, di che si discuteva nella piazza Fonte Diana? Perché
si erano riunite lì alcune migliaia di persone, venendo da ogni parte
della Sicilia? Perché era venuto Walter Veltroni, compiendo uno dei
gesti più significativi della sua segreteria alla guida del Pd?
Risposta: perché per la prima volta, per la prima volta in assoluto, è
stata revocata l’intitolazione di qualcosa a una vittima della mafia. A
una vittima simbolica per la nazione intera. Nel luogo che l’aveva
vista protagonista (a partire esattamente da un altro 11 ottobre,
quello del 1981) della più grande battaglia pacifista della storia
della Repubblica, per scongiurare l’installazione di un potenziale
nucleare in grado di distruggere sei volte il pianeta.

Ci sono state
volte in cui le amministrazioni hanno faticato a riconoscere i meriti
degli eroi dell’antimafia. Ricordo ancora, nel 1985, un gruppo di
studenti catanesi salire uno sull’altro per intitolare “abusivamente” e
polemicamente una via a Pippo Fava durante una fiaccolata. Ma mai,
proprio mai, era successo che una via o una scuola o una piazza o, come
in questo caso, un aeroporto già intitolati a una vittima vedessero una
revoca e una reintitolazione. Proprio questo è successo, invece. La
Torre trattato come si trattano i tiranni dopo la loro caduta. In
teoria per onorare al suo posto un generale dell’aviazione sui cui
meriti civili e umanitari ci sarebbe e anzi c’è molto da discutere. In
pratica perché la modernità sfrontata che pretende di farsi Stato ha
ormai lanciato una pluralità di messaggi tra loro coerenti.

La
convivenza con la mafia, i professionisti dell’antimafia, le lamentele
su quell’aeroporto “Falcone-Borsellino” che getta un’immagine di
improvvido lutto sulla felice Sicilia, i mafiosi definiti -loro- “eroi”
dai più alti livelli istituzionali, la natura abietta di chi ha
militato sotto le bandiere rosse. Si scrive Vincenzo Magliocco ma si
legge “clima del Paese” il nome a cui il sindaco di Alleanza nazionale
Giuseppe Alfano ha deciso di dedicare il “suo” aeroporto. E può anche
darsi che i suoi elettori siano d’accordo con lui. Purtroppo fu l’amaro
destino di Pio La Torre quello di sapere unire in forme amplissime il
suo popolo, di battersi per la democrazia di tutti, e di essere però
vissuto, anche dopo la morte, solo come un (nobile) dirigente di
partito dalle masse moderate o conservatrici o reazionarie. Purtroppo
la Comiso di sabato avrebbe dovuto riempire la piazza di propri
cittadini, grati al leader siciliano per non essere diventati, a quei
tempi, un possibile obiettivo di distruzione nucleare.

Purtroppo,
forse, il sindaco di Comiso ha fatto bene i suoi conti elettorali. Ma
ci sono valori alti, intangibili, che non possono passare per un vaglio
elettorale, per l’andirivieni degli umori, per le folate ideologiche
che attraversano un paese.
Perciò la piazza di Comiso dell’altro ieri parla a tutte le piazze
d’Italia. A quelle senza vista sulle palme e senza sedi di leghe per il
miglioramento dei contadini. A quelle dove la gente si affaccia a
sentire i comizi e sul palco salgono sindaci e assessori donne. Parla a
tutti noi, né per nulla lo stesso presidente della Repubblica ha voluto
fare arrivare lì il suo messaggio. Bisogna capire se la mafia, già
(intollerabilmente) materia di bizza e faziosità politica sui vivi, lo
è da oggi anche sui morti oppure no. Se qualcuno pretende di
traghettarci verso la vergogna. E se noi glielo consentiremo.

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