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La mia cena a Ombre Rosse. A proposito di Fenzi e Castellano
Risposta al comunicato di Castellano pubblicata sull’edizione di Genova del quotidiano "la Repubblica" (30 ottobre 2008)
Strana la vita. Ti accade che nello stesso giorno in cui sei a Venezia con il capo della Polizia Manganelli e con il sottosegretario Mantovano a ricordare le vittime del dovere, e mentre sei a sfilare in fiaccolata con centinaia di poliziotti e decine di vittime di mafia e terrorismo, a Genova l’ingegner Castellano ti accusi per iscritto di tenerezza o comprensione verso i terroristi. E di dimenticare le irriducibili ragioni delle vittime.
Che cos’è successo? Che l’ingegnere ha letto un pezzo su “Repubblica” in cui, riprendendo sinteticamente un mio racconto sull’”Unità”, si dava conto del dialogo che ho avuto con la moglie di Enrico Fenzi durante una cena nel suo locale. Non si è premurato di leggere il mio articolo e neanche di leggere attentamente il testo di Repubblica. Ma ha subito voluto esprimere con un comunicato stampa la sua contrarietà al mio “incontro” con Fenzi. Contrarietà. Ma a che cosa? Sono capitato nel locale “Ombre rosse” per purissimo caso, attratto dai tavoli nel giardinetto e credendo che l’insegna avesse a che fare con il film-cult di John Wayne (come “Repubblica” riporta). Lì, al momento delle ordinazioni, la proprietaria mi si è presentata come la moglie di Fenzi. E da quel momento è partito un dialogo. Di cui ho raccontato l’imbarazzo e le mie premesse (ho difficoltà a parlare con chi ha sostenuto il terrorismo; non è giusto che la storia di quegli anni l’abbiano scritta i terroristi più delle vittime…). Ma che ha anche visto la mia interlocutrice dire due cose per me molto importanti. La prima: che i terroristi e chi li sosteneva erano alcune migliaia. Fatto inusuale rispetto alla vulgata di molti opinionisti a suo tempo contigui, secondo cui sarebbe stata risucchiata dalla lotta armata quasi “un’intera generazione”, espressione autoassolutoria che curiosamente aleggia nella parole di Castellano (“un pezzo della gioventù di allora si è schierato con i brigatisti”). La seconda: che mio padre aveva ragione, che era dalla parte giusta. Concetto mai ascoltato nelle tante “Notti della Repubblica”, infarcite di ammissioni sempre ambigue (abbiamo sbagliato l’analisi della fase storica, pensavamo di avere dietro le masse). In questo dialogo Fenzi, che era casualmente nel locale, ha fatto da comparsa. Due minuti alla fine, con il grembiule blu, in piedi e a distanza dal tavolo. E con suo molto pudore, come ho scritto.
Questi i fatti. Che non vedo come possano essere giudicati. L’ingegner Castellano merita tutto il rispetto come vittima del terrorismo. Ma dovrebbe avere eguale rispetto per chi non se l’è passata molto meglio di lui. Devo ricordare i miei anni infiniti passati a controllare la strada dal balcone, le paure per mio padre, mia madre che da quella paura venne stroncata (un infarto pochi giorni dopo l’omicidio del giudice Palma, che con mio padre collaborava) e molto altro che ho anche ritegno a raccontare? Ma chi ha il diritto di giudicare? Io non ho mai militato né nel partito del perdono né in quello dell’amnistia. Ma non dico nulla se Giovanni Bachelet perdona pubblicamente gli assassini di suo padre. Non dico nulla se Indro Montanelli vuole incontrare chi gli sparò alle gambe. O se Maria Fida Moro vuol vedere i terroristi in carcere. Semplicemente penso di non averne il diritto. Credo, semmai, che Genova debba alzare la sua capacità di memoria di quegli anni (obiettivo a cui stiamo lavorando con la sindaco Vincenzi) e, al tempo stesso, la sua capacità di uscirne. Senza ambiguità. Ma accogliendo con l’orgoglio di chi ha vinto una prova durissima ogni ammissione sulle superiori ragioni dello Stato e della democrazia. Il futuro si costruisce anche così.
Nando
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