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Reportage. SCAMPIA. ARRIVA LA SPERANZA NELL’ELDORADO DEGLI SPACCIATORI
(l’Unità, 1 novembre 2008) – Questa è la terra dei cercatori d’ero. L’eldorado di chi compra e vende eroina di quella buona. E’ Scampia, periferia napoletana cresciuta come un fungo per ospitare i diseredati del Rione Sanità negli anni del terremoto. Scampia, lo spaventoso set di “Gomorra”, il film denuncia che dovette concordare con i clan le inquadrature delle case. Qui ogni sabato arrivano in processione le auto di grossa cilindrata dei professionisti napoletani per comprare dosi da signori in trattative a prova di sbirri. Da qui la sera partono le moto dei guaglioni per andare a rifornire i compratori al casello autostradale di Caserta, direzione Roma. Qui in questa settimana si sono dati convegno operatori sociali, volontari, preti, insegnanti, studenti e anche abitanti del quartiere. Tre giorni interi a parlare di droga in uno dei più grandi porti franchi della droga. Dici Gomorra, appunto, e vedi solo gruppi di fuoco, spacciatori, killer per ambizione e per piacere; cadaveri e discariche di morte. E invece ci sono anche loro, “la trincea delle trincee”, come dicono. Gli abiti dignitosi di chi campa con millecinque, duemila euro al mese, le facce di chi legge almeno due libri al mese. Loro, a rappresentare le ragioni della società civile e di istituzioni che qui prendono il volto del Sert assai più che quello della caserma o del municipio. L’appuntamento è in uno spazio immenso, piazza Grandi eventi. Alla destra di chi arriva si stagliano quattro delle celebri “vele”. “Vela” per dire follia edilizia, obbrobrio architettonico, intrico e impiastro di illegalità, promiscuità infernale per gli onesti. Erano sette, ne han buttate giù tre. Due sono inespugnabili fortini di camorra, vero comando militare della zona. Formicai di ruggine e cemento. I panni e le lenzuola appese anche dove le case sono vuote, per inscenare edifici popolosi che nessuno potrebbe abbattere senza buttar sul lastrico le mamme e le creature.
Quarantaquattromila abitanti fa Scampia, praticamente come Mantova, quartiere più grande dell’ottava municipalità napoletana. “Solo il dieci per cento” ha a che fare con la droga, spiega Goffredo Miano, sociologo che lavora da anni in questa terra sciagurata, prendendo appunti scrupolosi (e segreti) sui suoi pazienti. Quattrocento persone in cura dal Sert, ma migliaia di consumatori effettivi. La tossicodipendenza è un affare, un mercato privo di ogni implicazione etica. Si vende e si guadagna, e basta. Una sentinella che passeggia nei fortini o presidia le strade prende cinquanta euro al giorno, chi comanda un gruppo di spacciatori arriva a quarantamila al mese, fa in una settimana il triplo del mensile di un operaio. Anche con le siringhe si guadagna. Vietato darle gratuitamente al Sert, in una salumeria l’altro giorno ne han trovate cinquecento. Si guadagna anche sui limoni. I coraggiosi di Scampia hanno cercato a loro rischio di cambiare il paesaggio, di fissare i loro messaggi sui palazzi. Un’ artista, Rosaria Iazzetta, del centro culturale “Alberto Hurtado”, ha steso i suoi enormi striscioni in tela gialla che resistono da mesi. Uno, orizzontale su due righe, fa mostra scandalosa su una delle Vele: “Quando il vento dei soprusi sarà finito, le vele della vita saranno spiegate verso la felicità”. Uno si stende sempre orizzontale sul fronte di un colonnato: “Quando la felicità non la vedi, cercala dentro”. Uno invece scende verticale per i piani sul palazzo dell’Asl, diventata acronimo di “Amore senza limiti”.
Gli operatori hanno sistemato 67 stand e 19 unità mobili su tutto il piazzale, mettendo a soqquadro il paesaggio. Le sentinelle sono scese dai fortini per sapere che diavolo stesse succedendo. Loro, facendosi scudo della Regione -assessorato alla sanità, settore fasce deboli- hanno spiegato che cosa volevano fare. In modo un po’ più innocuo rispetto alle intenzioni vere. Ossia riappropriarsi di uno spazio tanto grande quanto vuoto, perché a Scampia nessuno passeggia. Non accontentarsi delle piazze o agorà virtuali perché urge la piazza vera, quella che mette in contatto le persone, che fa sentire la vicinanza “della pelle”. Sottrarre per pochi giorni simbolicamente quella prateria d’asfalto alla signoria dei clan. Portare una decina di scuole nei luoghi dove i fossati parlano di buchi disperati nelle braccia e dove fino a poco tempo fa i sottopassi erano salottini per farsi di ero e derivati. Incunearsi tra le vele e la strada dei puffi, nome fiabesco per una toponomastica gloriosa (via della Resistenza) e benedetta da un immenso Cristo all’aperto per indicare le case basse della droga, luogo off limits anche per la polizia e per i carabinieri. Rosanna Romano, dirigente del settore fasce deboli della Regione, ha la forza calma di chi è riuscito a riunire qui centinaia di persone al giorno, trasformando un pezzo di Scampia in un luogo quasi normale. Un auditorium affollato di persone colte e civili, con giovanissime hostess dell’istituto turistico “Vittorio Veneto”, eleganti come potrebbero esserlo studentesse del Mamiani o del Parini. Ma ha anche l’amarezza di chi si è vista negare l’uso della villa-giardino accanto, di chi sa che dal giorno dopo la piazza sarà già tornata nelle “loro” mani, la delusione di chi non vede uno straccio di giornale o di tivù interessato a quella strepitosa impresa che è andare a parlare di droga nel cuore del narcotraffico armato.
Gli operatori si susseguono nei loro interventi. Istituzioni, enti, associazioni; sportello famiglie e unità di strada; medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti e volontari; le Asl e poi la Caritas, il volto di don Elvio Damoli, un prete mite che si porta sulle spalle vent’anni da cappellano a Poggioreale. In ogni loro parola si intravvede una professionalità altissima, il rifiuto dell’idea di potere essere loro “i salvatori” (qui le adolescenti, spiegano, si sentono spesso le salvatrici del fidanzato), perché vale cento volte di più la società che si costruisce intorno. Scorre nei racconti un’umanità intera, compresa la recluta dei clan che in casa ha ancora paura a dormire al buio. Si coglie la lotta perenne con un’altra idea di istituzione, quella che trasforma il diritto in favore o peggio, come testimonia la cronaca del “Mattino” che, con quei due carabinieri arrestati a Casal di Principe, si trascina, nelle pause, commenti d’indignata impotenza. Il giovedì del grande sciopero della scuola qui si svolge in un modo tutto suo. Troppo importante è la sfida per regalare lo spettacolo dello spazio vuoto a chi senza ritegno si è fatto subito avanti per intimare (a un assessorato regionale…) di togliere quelle transenne accanto agli stand. “Danno fastidio”, hanno detto sbrigativi i guaglioni, usi scorrazzare in moto ad alta velocità per quelle strade. No davvero. Gomorra non è solo scontro fra bande. C’è la trincea delle trincee, c’è il Sert che si fa Stato (“ma lo mettono sempre nei luoghi più degradati, tanto per non sbagliare”), ci sono gli invisibili della speranza che non si arrende. Fioccano le autocritiche da coccodrillo della stampa nazionale per il caso Saviano. L’abbiamo lasciato solo a fare quel che avremmo dovuto fare noi. Ma a Scampia la stampa non c’era. I riflettori sugli invisibili non si accendono. La lotta in trincea, se non si ha un nome che fa notizia, non fa notizia.
Nando
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