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Lotta alla Mafia. E facciamola, ‘sta classe dirigente…
Eh, si fa presto a dire “domani vi racconto”. L’ho detto lunedì notte tornando a casa dal dibattito sulla mafia a Milano. E intanto sono passati due giorni… e Deandrea ha sfoderato un’altra splendida vignetta per il Blog. Dunque, la serata è stata in assoluto una delle più ricche e meno demagogiche che abbia vissuto sul tema negli ultimi tempi (un tromboncino o un illetterato tra i relatori ci capita sempre…). Bravo il procuratore aggiunto Alberto Nobili a raccontare la ‘ndrangheta. Bravo il mio amico Gianni Barbacetto detto Barbi a raccontare di Milano. Lucidissimo ed efficace Claudio Fava nel raccontare le continuità di questi anni. Incoraggiante Massimo, il ragazzo di “e ora ammazzateci tutti”. Basilio Rizzo ha raccontato da par suo (altro che limitare il numero dei mandati nei consigli comunali, insisto…) lo spappolamento del senso delle istituzioni a Milano. Veloce e consapevole la conduzione di Antonellina Mascali. Brava, bravissima Edda la “girandola” a organizzare. Di me posso dire che mentre esponevo il mio punto di vista mi andavo convincendo sempre di più di una cosa, che voglio trasformare in cavallo di battaglia del movimento: siccome non si può fare la lotta alla mafia e alla corruzione senza una classe dirigente degna di questo nome, occorre costruire una classe dirigente alternativa a quella che c’è. Lo so, hai detto un fìnfero… Però riflettiamoci. La classe politica è in catalessi. Non parla; e quando parla, spesso, non crede in quello che dice. Sul piano generale abbiamo ormai una catena di comando gerarchico (economia-politica-informazione) intorno alla quale galleggiano tanti strati gelatinosi. Autentici invertebrati. Ossia il contrario di una classe. Perché senza struttura, senza visione, senza senso di responsabilità. A questa catena di comando circondata di gelatina occorre contrapporre un insieme di funzioni, di persone, di ambienti che tra loro si collegano e fanno robustamente rete. Nelle cose che dicono, nei gesti simbolici, nel coraggio del conflitto, nel linguaggio, nelle scelte operative. Che si auto-costituiscono in classe dirigente senza chiedere il permesso a nessuno, insomma. Certo, ci sono ruoli formali che non possono essere assunti. Così come non si può separare sempre la sostanza dalla forma. Ma pensiamo all’informazione prodotta dalla rete e da youtube. Chiaro che non puoi diventare il direttore del Corriere o di una rete televisiva. Ma puoi promuovere l’informazione entro una dimensione diversa e concorrente (Piero Ricca ad esempio lo ha fatto spesso con le sue riprese artigianali, i siti e i blog lo fanno, e per stavolta lasciamo stare Obama). E ancora: chiaro che non puoi diventare segretario o vicesegretario (ah, quei vice…) del Piddì, ma puoi aprire i tuoi circoli a centinaia e puoi fare movimento d’opinione invece che esercitarti nelle lamentazioni. Quasi vent’anni fa iniziammo a farlo. La polemica sui “professionisti dell’antimafia”, in fondo, nasceva dallo stupore e dalla stizza di dovere constatare per la prima volta nella storia che c’erano ovunque, e non solo in Sicilia, persone, con professioni e attività diverse, che facevano muro costantemente di fronte alle pretese di egemonia del potere mafioso e del potere politico che gli era più vicino. Che c’era la solidarietà della P2 da un lato, ma che c’era anche una solidarietà opposta che cementava allo stesso modo gli ambienti più diversi (per questo il Corriere, che capì, scriveva della nascita di “una nuova, più nobile mafia”). Oggi ce ne sono di nuovo le condizioni. I giovani di oggi, quelli dell’Onda, hanno messo (lo ha ricordato Basilio) la lotta alla corruzione tra le prime necessità della società italiana. E si sono informati non sui giornali, non sulle tivù, ma sui libri e sulla rete. Animo dunque. Come diceva d’estate il vecchio don Gallo, su la testa, c’è profumo di primavera.
P.S. E ricordiamo sempre una cosa. Una vera classe dirigente non si chiede “che cosa mi capita se dico o faccio questo”. Una vera classe dirigente si chiede “che cosa capita al mio paese e alle future generazioni se ‘non’ dico o ‘non’ faccio questo”. Un abisso, giusto?
Nando
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