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Etica e politica. La strada obbligata del Pd
Se non si affronta la questione morale
il rischio sarà quello di una caduta libera dei consensi dei Democratici
(l’Unità, 9 dicembre 2008) – E’ un paese un po’ cialtrone questo, lo sappiamo. Intriso
di trasformismi e di soccorsi ai vincitori. Che scrive spesso la sua
autobiografia nei demagoghi politici di cui si innamora. Che prova l’orticaria
verso la parola “legalità”. Ma, appunto, “un po’”, non del tutto cialtrone. E nemmeno
sempre nella stessa misura.
Sicché capita che anche in un paese così la questione
morale decreti la fine, il declino o, al contrario, la tenuta dei partiti.
Perché c’è sempre un’ampia minoranza di cittadini che alla qualità dei rapporti
civili, al pubblico decoro, al senso delle istituzioni tiene e crede. Un pezzo
importante del paese che non sta, politicamente, tutto di qua o di là; ma che
certo tende a collocarsi in modo significativo in quello che oggi chiamiamo
centrosinistra. Un popolo paziente ma disposto alla rivolta soprattutto quando
sente che l’immoralità di governo lo colpisce nei suoi interessi materali. Il
crollo della prima repubblica ha suggellato in fondo un’etica pubblica che
offendeva il decoro delle istituzioni, salassava le finanze dello Stato e
ingessava la vitalità della società civile.
E infatti non i magistrati, ma il
voto del ’92 e ancor prima il referendum del ’91 hanno affondato Dc e Psi, simboli di una specifica idea di
governo e di politica. E, per converso, il Pci ha scavalcato le macerie del
Muro (autentico paradosso della storia) grazie all’immagine alternativa che
aveva. Conservando un patrimonio di consensi cresciuto non certo in nome
dell’ideale comunista, ma per accumulazione multiforme intorno a un’idea di buon
governo. Come cantava Gaber, la gente era diventata comunista perché la Dc era
il partito degli scandali. O perché qui c’era il peggiore partito socialista
d’Europa. O perché Berlinguer “era una brava persona”.
Insomma, nonostante quel che si crede, la questione morale
in politica conta, tanto più che in genere essa è intreccio, sintesi di molte
questioni. E se è vero che a volte “più rubi e più prendi voti”, arriva sempre il momento in cui paghi la
perdita della reputazione e del prestigio, anche in modi ingiusti e spietati.
Di più: senza un elettorato pronto a difenderti, poiché di norma lo smarrimento
della bussola etica si accompagna a una sonnolenza progressiva su tutti i temi
ideali che danno senso a un partito. Da qui la domanda: quale demone, quale
virus della ragione ha portato a pensare nel centrosinistra che la questione
morale faccia perdere voti, che l’etica pubblica sia una materia complementare,
un optional, nella formazione e nella identità di un gruppo dirigente politico?
La prima risposta è: senz’altro la perdita del senso della
realtà. Ossia la convinzione che la realtà sia fatta del proprio mondo
partitico-mediatico-clientelare. Che si possa diventare solida maggioranza
annettendo, con disutilità marginali crescenti, i Mastella e i Villari, anziché
offrendo buoni progetti sostenuti da un’alta e riconoscibile serietà di partito
o schieramento. Escogitando operazioni di ceto politico, che -a livello centrale
come a livello locale (si ricordi la vicenda Fortugno in Calabria)- diventano
inevitabilmente corollario e legittimazione di micidiali pratiche clientelari e
corruttive. Naturalmente questa perdita di senso della realtà ha alle sue
spalle processi storici. La crisi del partito di massa, anzitutto. Ma ancor più
l’esaurimento dell’onda lunga in cui si sono formate le classi dirigenti politiche
della prima Repubblica. Ossia dello spirito fondativo della Resistenza e della
Costituzione. E la conseguente sostituzione di leadership nate nel fuoco di
grandi battaglie sociali, sindacali, politiche, culturali con leadership nate
prevalentemente negli accordi interni di partito, e alle quali le liste
bloccate hanno reciso ogni cordone ombelicale con sentimenti e domande popolari.
Grande, oggi, è il compito del Pd. Grande e difficile.
Denunciare l’immoralità dell’avversario al governo e, al tempo stesso,
costruire la propria moralità di partito nuovo. Ma deve svolgerlo, sapendo che
dovrà pagare duri prezzi. Altrimenti sarà condannato a pagare il prezzo più
duro. Ossia la caduta libera dei suoi consensi, l’implosione del progetto per
le tante promesse non mantenute. Ancora una volta la questione morale si
presenta – anziché come addentellato – come riassunto della politica. Sarà una
strada lunga e spinosa. Ma forse sarà l’unica strada possibile per realizzare
finalmente il Partito Democratico promesso agli italiani.
Nando
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