Il caso Englaro. LA LEZIONE DELLA DIGNITA’ NELL’ITALIA CHE CANCELLA IL PUDORE

(l’Unità, 31 dicembre 2008) – Si è detto tutto, di Eluana. Di lei e di suo padre, e dei loro diritti. Della bioetica, delle scelte lecite quando i confini della vita naturale sono stati superati e la scienza serve solo a fingere la vita anziché a salvarla o a restituirla.

Ma il tema vero è ormai un altro. Perfino più inquietante, per chi, come il sottoscritto, non ha studiato molto né bioetica né diritto e sceglie di atteggiarsi semplicemente con rispetto verso i drammi umani e chi è costretto a farne fardello della propria esistenza. Ed è la ferocia prodotta dalla combinazione politico-mediatica che si è scatenata intorno a un caso che, per la sua estrema delicatezza, dovrebbe imporre pudore e discrezione a tutti. Dico di più: forse non avremmo mai dovuto saperne nulla, esattamente come nulla sappiamo di quei casi in cui un paziente cosciente delle sofferenze che lo attendono chiede a un medico pietoso di evitargliele nelle ore o nei giorni che precedono la fine. Non è questione di ipocrisia. E’ questione di sapere accettare l’esistenza di una personalissima zona di mistero intorno all’altro mistero più grande e più fondo, quello della morte. Che questa zona sia diventata il luogo, il simbolo chiassoso di uno scontro di civiltà, nel quale la parte politicamente più forte, quella che può gettare sul piatto i propri giornali e i propri ministri, pretende di imporre il suo punto di vista a chi si è dovuto caricare il peso del dramma, questo sconvolge. La fede che si fa guerra. La carità che si fa violenza. Il rispetto del sacro che si fa incursione nel sacro altrui. Non è solo la società laica che viene presa a colpi d’ariete da questa offensiva fanatica, ma la società fondata su una nozione religiosa della “pìetas”. Ricordo una sera a cena con don Giussani, tanto tempo fa. Dove c’è troppo potere non c’è Dio, mi disse. E mi fissò come per consolarmi. Pensai che avesse ragione. Lo penso ancora.

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