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Guido Rossa e Genova trent’anni dopo
(l’Unità, 23 gennaio 2009) – «Hanno ucciso un delatore».
Questo, il 25 gennaio del 1979, fu il messaggio che il quotidiano Lotta
Continua consegnò ai suoi lettori per riferire dell’assassinio di Guido Rossa.
Letto oggi sembra una follia. E invece in quel messaggio si condensavano la
diffidenza, l’indifferenza, talora il dileggio, con cui una parte non
infinitesimale della sinistra viveva la lotta dello Stato contro il terrorismo
rosso. Era passato quasi un anno dall’eccidio di via Fani e dal rapimento di
Moro. Dallo sgomento e da tante nuove
consapevolezze. E poco meno era passato da quando lo stesso Lotta Continua si
era attestato sulla frontiera “umanitaria”, scoperta proprio nelle terribili
settimane del sequestro dello statista democristiano. Eppure ancora così si
scriveva e si pensava. Figurarsi prima…
Trent’anni dopo Genova vuole
partire proprio da qui. Da quel delitto commesso e letto con gli occhiali che
trasformavano un atto di responsabilità civile in una delazione, un operaio
coraggioso in una spia. Da quel clima di neutralità condiscendente o impaurita
descritta da Sabina Rossa nella sua bella intervista all’Unità di due giorni
fa. Perché quel clima fu, alla fine, vinto proprio “grazie” all’assassinio del
sindacalista comunista, di una persona che agli occhi del popolo incarnava
perfettamente la classe sociale che le Brigate rosse pretendevano di
rappresentare. Solo allora, infatti, si ebbe la conferma, la tragica conferma
sul campo, che i terroristi erano davvero contro gli operai.
Nel 24 gennaio che torna
domani per la trentesima volta c’è
dunque tutto questo.
Una storia di paura, che vide
Genova, con la sua classe operaia, diventare bersaglio dell’offensiva
brigatista. Una storia di dolore, di chi si trovò addosso, senza sapere perché,
la violenza di sangue della lotta armata. Una storia di orgoglio democratico,
di chi volle e seppe resistere, anche vigilando di notte sulla propria
fabbrica. È la storia grande di una prova durissima vinta con le armi della
democrazia.
Storia talora rimossa. Perché
i ritardi, le asprezze, le incomprensioni, i sospetti, vi furono davvero. E
scavarci dentro dà disagio. Ma la Genova avviata a diventare la prima vera
capitale multiculturale italiana non può costruire un solido futuro senza
derivare da quella data una identità supplementare e irrinunciabile.
Per questo offrirà stasera ai
suoi cittadini un film su quegli anni prodotto da Rai Educational e realizzato
da due giovani giornalisti – Stefano Caselli e Davide Valentini – che il
terrorismo non lo videro. Per questo bandisce un concorso per un monumento alle
vittime di quegli anni rivolgendolo agli studenti di Architettura e
dell’Accademia di belle arti, che anch’essi quegli anni non videro. Perché la
memoria è più forte se è reinterpretata dalle nuove generazioni. Se il racconto
fedele di chi ha tutto ancora negli occhi passa per le ansie civili e il lampo
creativo di chi non c’era. Di chi non sentì dire, in quel mattino livido di
gennaio, «hanno ucciso un operaio del Pci».
in via Garibaldi sarà proiettato in anteprima nazionale il film “Anni spietati.
Genova”, una coproduzione Comune di Genova – Rai Educational “La Storia siamo
noi”)
Nando
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