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Di male in peggio. SULLA MAFIA NON SI SCHERZA
(l’Unità, 29 gennaio 2009) – Ha ragione Di Pietro: la mafia vuole il silenzio, pretende
l’omertà. Ma non sempre. A volte i suoi avvocati diventano fiumi di retorica in
piena. E anche gli intellettuali e i magistrati e i politici che si sono
dimostrati nel tempo teneri verso Cosa Nostra sono facondi assai. E pure i boss
parlano, come dimostrano le intercettazioni ambientali. Qualche volta perfino dalle
gabbie mandano i loro messaggi orali. Perché anche la mafia sa che esiste il
tempo del silenzio e il tempo della parola. Così come lo sanno gli antimafiosi.
I quali pure usano sia il silenzio sia la parola; solo che lo fanno in modo del
tutto incoerente con le attese della mafia.
E dunque tacciono sul lavoro investigativo che compiono o
sulle mosse politiche che intendono compiere o sull’articolo di denuncia che
intendono scrivere o sul giorno in cui incontreranno il giudice che indaga sui
crimini di Cosa Nostra. Mentre parlano nelle scuole, nei comizi, nei libri o
nelle sentenze che scrivono. Il silenzio a volte è il massimo della complicità
e a volte è il massimo della alterità. Perché quando si hanno in animo scelte
difficili non le si comunica prima, così da dare a chiunque le coordinate per
attaccare o giocare d’anticipo o inquinare. Perfino i ciarlieri politici di opposizione
a volte pregiudicano, per le troppe parole, i risultati che vorrebbero
ottenere. Silenzio è vigliaccheria, ma silenzio è anche lucida vigilanza. E’
condiscendenza ma è anche riflessione critica. E’ rinuncia a parlare ma anche
premessa di parole pesanti, perché non pronunciate a vanvera.
Un presidente della Repubblica non è un giudice
quotidiano, un commentatore fisso dei fatti gravi di un paese. E imporsi un
silenzio di fronte alla sua figura può non essere né ignobile né omertoso. Il
lodo Alfano è male. Ma il Quirinale messo alla berlina è peggio.
Nando
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