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In risposta a B.H. Lèvy: Battisti è un assassino
(l’Unità, 24 febbraio 2009) – Mi dichiaro d’accordo al cento per cento con Bernard Henry Lévy. “I princìpi sono princìpi
solo se non ammettono eccezioni”. Appunto. Se qualcuno uccide in Italia una o
più persone sconta la sua pena secondo le procedure e le misure previste dalla
legge italiana. Senza eccezioni. Anche se è amico o conta importanti protezioni
o simpatie presso le élites intellettuali e politiche francesi. Anche se dopo
avere assassinato in Italia è diventato scrittore di successo in Francia. Il
problema non è, come insinua B.H.Lévy, se Battisti debba pagare perché brutto e
cattivo; ma, al contrario, se non debba pagare perché fascinoso e di successo. E
se un paese striato di sangue dal terrorismo si debba sentire accusare di
“isteria” da un intellettuale francese, sol perché chiede che un pluriassassino
sconti le pene irrogate dai tribunali della Repubblica che lo hanno giudicato
colpevole di una cospicua massa di reati.
Sia detto con la dovuta chiarezza. Il vero tema suggerito
dall’intervento di Lévy non è la vicenda giudiziaria di Battisti, riproposta in
un impasto di disinformatja a cui siamo purtroppo abituati. Sulle
responsabilità penali hanno già risposto alcuni dei più credibili magistrati
italiani, da Giancarlo Caselli ad Armando Spataro. E sulla questione della contumacia
si è già espressa la Corte Europea dei diritti dell’uomo, che certo non ha
ceduto ad alcuno spirito di emergenza.
Il tema è un altro. Ed è l’infinita leggerezza mista a
presunzione con cui tanti intellettuali e politici francesi hanno da sempre
guardato alla vicenda del terrorismo italiano. Che torna nell’accusa di volere fare
di Battisti “il peggior criminale degli anni di piombo, la personificazione del
male, il diavolo”. In Italia sono state condannate per terrorismo centinaia e
centinaia di persone. E nessuna di loro ha rappresentato il diavolo. Sono state
giudicate nei tribunali e non, come ricordò con orgoglio Sandro Pertini, negli
stadi. Né pena di morte né torture “algerine”. E un intero popolo contro, anche
se in Francia può dispiacere. Ma sa qualcosa Lévy del travaglio immenso della
sinistra, della classe operaia, degli studenti, delle paure e dei coraggi nello
schierarsi contro? Davvero possiamo sentirci accusare, nel nome di Battisti
“pallida comparsa” di quegli anni, di volerci “sdebitare con poca spesa del
lavoro di rimemorazione e di lutto”? E “pallida comparsa” per chi, poi? Per le
vittime forse? Le stesse a cui Levy vorrebbe spiegare, lui difensore di
Battisti, che cosa “fa bene” loro oggi? In questa pretesa disumana c’è qualcosa
che aiuta a spiegare il riparo trovato in Francia da tanti romantici eroi secondo
loro. Da tanti terroristi secondo noi.
Nando
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