Il comitato delle sedie. Una barriera contro gli schiavisti del sesso


(l’Unità, 26 febbraio 2009) – Comitato delle sedie. Si chiamano così gli abitanti
della zona tra la Bocconi e Porta Romana che a Milano scendono in strada per combattere la prostituzione andata alla conquista del loro
quartiere. Un degrado inimmaginabile. Un gruppo crescente di schiave straniere
dalle dieci di sera. Vie tranquille che si popolano di clienti di ogni tipo, su
grandi cilindrate, sui motorini e a piedi. Strade zeppe ogni mattino di
preservativi, escrementi. Amplessi in auto davanti ai portoni
delle case e sui passi carrai, o addirittura in piedi appoggiati ai muri. Per
tagliare i costi e battere la concorrenza. Con tutto l’indotto possibile. Di
sentinelle, staffette, bustine di droga tenute in deposito a cento metri,
guardoni che si masturbano anche loro in strada,
prove di prostituzione maschile e furti di auto per “consumare”. E la paura
delle ragazze, che piuttosto che tornare a casa la sera tardi, iniziano a
dormir dalle amiche.

E’ andata avanti così per mesi. Con ognuno chiuso
nelle sue rabbie e frustrazioni al vedere il proprio quartiere conquistato da
una banda di sfruttatori, verosimilmente in una logica di divisione del territorio.
Frustrazioni cresciute dopo alcune telefonate alle forze dell’ordine. Al
sentirsi rispondere “non possiamo fare niente” o addirittura consigliare, come
unico rimedio, di “cambiare casa”. Poi sono incominciate le iniziative
individuali. Nella via lasciata buia dal Comune, un po’ di cittadini e
condomini hanno scelto il fai-da-te: illuminazione con fari dai balconi, sui
vari piani, sui passi carrai, nel tentativo di rendere la via meno complice con
lo smercio di sesso a pagamento.

Ma non basta. (Continua)


Solo un po’ di sfrontatezza in meno fino a
mezzanotte, un più intenso passaggio di polizia e carabinieri, poi tutto ricominciava. Allora i cittadini che non si erano mai
salutati o che nemmeno si conoscevano di vista hanno iniziato a scriversi. A
conoscersi e a parlarsi. Hanno capito che la difesa del loro quartiere
dipendeva prima di tutto da loro. E hanno indetto un’assemblea. Nella sede
dell’Arci, dove molti non hanno gradito, perché “questa è una battaglia della
destra”; e fuori della quale, infatti, un po’ di giovani sfottevano i convenuti
canticchiando “siamo tutti prostitute”.

Specchio esemplare, in fondo, dell’incapacità di tanta
sinistra di rispondere a bisogni fondamentali della gente comune, e di sottrarla
al fascino degli slogan truci e razzisti. Perché in realtà in questa storia i
toni truci sono stati subito respinti con perdite. E, al di là delle opinioni
politiche dei cittadini mobilitati (che non conosco nemmeno), si è fatta largo
un’idea di buon senso. Sempre rispettosa delle persone, sempre consapevole dei
drammi delle prostitute-schiave, ma molto determinata: riprendersi il
territorio. Il nome del “comitato delle sedie” è nato così. Dalla scelta di
sedersi anche al gelo fuori a chiacchierare fino a molto tardi. Come nei paesi
del sud, dove star fuori serve a vedere, parlare, e a prevenire eventuali
presenze sgradite. E a far vita di comunità. Non per nulla la prima iniziativa
è stata una bella serata dal pizzaiolo egiziano all’angolo sulla
circonvallazione. Tutti da lui in segno di solidarietà, visto che rischia di
chiudere per mancanza di clienti alla sera, con quel traffico davanti all’ ingresso.

Poi presìdi in strada, per scoraggiare i clienti, con l’obiettivo di far
dimagrire il fatturato dell’industria, che tale è se è vero che alcune di
queste giovanissime prostitute risultano sposate con italiani. Poi turni ai
balconi, dialoghi da palazzi adiacenti, per fare capire che la via è viva fino
a tardi. E quindi i primi manifesti ironici sui muri: “Siamo tutti fotografi”,
“Cliente, clic, sorridi che domani sei sui giornali”. E anche le passeggiate di
gruppo con chiamate alle forze dell’ordine, perché nessuno ha mai pensato di
sostituirsi a loro per quel che riguarda l’uso della forza. Semmai si è chiesto
loro garbatamente, in qualche occasione, di non allargare solo le braccia
dichiarando un’impotenza maggiore di quella effettiva. Perché provare lo
sfruttamento è difficile, ma non impossibile. E perché non è vero, come in un
caso ci è stato spiegato, che gli atti osceni in luogo pubblico non siano più
reato.

Qualche risultato più incisivo ha incominciato a vedersi.
Ma il “comitato delle sedie” sa che
dovrà difendere ancora a lungo il suo territorio. Che il problema non è solo di
“fare spostare da un’altra parte” ma di far capire che il traffico di
prostitute è meno facile di quanto si pensi (quante ragazze vengono chiamate
dal loro paese vedendo che nessuno reagisce e che “butta bene”?). E oltre ai
presidi e alle chiacchierate al gelo, si progettano cineforum notturni di
strada per quando farà caldo. O lezioni di tango argentino con l’aiuto dell’Arci
(la cui presidenza provinciale ha per fortuna ben capito la natura della
protesta). Nessuno ha mai usato la parola “ronda” e forse nessuno vuol
sentirla. Ma il principio che è passato avrebbe tanto da insegnare alla
sinistra e ai suoi ideologismi. Questo è volontariato puro. Sulla sicurezza,
anziché sulla cultura, sui servizi sociali o sullo sport. Perché non dovrebbe
esserci? E’ vero: paradossalmente (ammettiamolo…) dovremmo ringraziare le
prostitute e perfino i loro sfruttatori. Perché prima non ci parlavamo. Ora
invece ci conosciamo, ci diamo del tu, il quartiere è un’altra cosa, ricco di
vita solidale, mentre prima alle nove e mezzo di sera calavano le tapparelle e
chi tornava la sera posteggiava di corsa e rientrava in casa senza guardarsi
intorno.

Sicurezza è prima di tutto socialità. Ma questo lo abbiamo
sperimentato perché abbiamo voluto tutti affrontare “un tema della destra”. E’
quando non li affronti, questi temi, e poi ti accorgi in campagna elettorale di
non sapere parlare alle gente e di perdere milioni di voti gratis, che cerchi inutile,
affannoso riparo nel linguaggio della destra: via i romeni, caccia ai
graffitari. E invece basterebbe sapere stare dentro i problemi della vita
quotidiana.

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