COSA CI DICE QUELLA GENTE CON DON CIOTTI


(l’Unità, 21 marzo 2009) – Certe cose bisogna vederle. Perché molti sanno della "giornata della memoria e dell’impegno" che oggi porterà a Napoli centomila e più persone contro le mafie di ogni tipo. Ma è difficile spiegare quel che rappresentavano ieri nell’auditorium della cattedrale di Napoli le centinaia di persone raccolte intorno a don Ciotti, tutte segnate dalla violenza dei poteri criminali. Centinaia e centinaia e centinaia di storie che accomunavano visi rugosi di antiche società contadine, e bambini sgambettanti, figli o nipoti di vittime vicinissime o già lontane.

Racconti e testimonianze da scriverci libri di storia.
Antonella Azoti, per esempio, figlia di uno
dei quaranta e passa sindacalisti uccisi dalla mafia nel terribile dopoguerra siciliano. Lei e il dramma di coloro che mai si sono visti riconoscere come familiari di vittime della mafia, per il semplice fatto che nessun processo si è mai tenuto. Fu così per quasi tutti i sindacalisti, ha ricordato Nico Miraglia figlio di Accursio; mentre (quanto brucia l’ingiustizia…) ancora gli si strozzava la voce in gola dicendo "mio padre". E poi Mario Congiusti, un figlio ucciso dalla ‘Ndrangheta che ha lanciato a questa inimmaginabile assemblea la sua domanda spiazzante e disperata: "Chi sono io per la legge? Perché chi perde il padre si chiama orfano, chi perde il marito si chiama vedova, mentre io, che m’hanno ammazzato il figlio, non so come mi chiamo?". Certe cose bisogna vederle. E sentirle. Sentirle raccontare da Vincenzo, fratello di Biagio, studente ucciso un giorno davanti al liceo Meli di Palermo, dall’auto di Borsellino che correva per proteggere il giudice ai tempi del maxiprocesso. Sì, Biagio figlio di operaio e mandato a scuola con fatica da Capaci nel capoluogo, per finire anche lui vittima della

città di mafia. O sentire la giovane moglie di Nicola Gioitta, gioielliere ucciso nel suo negozio e poi sfregiato al collo per lezione, chiedersi perché non lo abbiano mai considerato, suo marito, vittima di mafia a Niscemi, ma lo abbiano derubricato

tra i morti per rapina.

C’è una storia d’Italia che scorre tra questi volti, apparentemente tanto diversi ma in realtà così simili per quel lampo di malinconia che prima o poi indovini in tutti. Storia di dolore. Ma anche di orgoglio. Oggi questa storia riecheggerà a piazza del Plebiscito ancora una volta, di fronte a una marea di cittadini, soprattutto giovani.
Scorreranno
di nuovo le centinaia e centinaia di nomi in quell’inesorabile (e irreversibile) ordine cronologico.

E chi ci sarà potrà immaginare. Non tutto, ma qualcosa che basti a dargli una coscienza diversa.

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