Genova. Quelli che la mafia non la vogliono vedere


(la Repubblica, ed. genovese
30 marzo 2009)
Mafia a Genova? Non sono stato chiamato a collaborare con
Marta Vincenzi su questi temi. Ma visto che ne studio e scrivo da più di
trent’anni, e che ho partecipato a diversi organismi istituzionali che se ne
sono occupati, chiedo la parola. Suggerirei dunque di assumere come primo
riferimento, più che le opinioni dei singoli, la relazione della Commissione
parlamentare antimafia del 2006, l’ultima a chiudere un’intera legislatura di
lavoro. Vi si trovano ben trentadue pagine dedicate alla Liguria (più che all’Emilia;
più che al Lazio), con numerosi riferimenti alla realtà genovese. Da cui emergono
due dati: la dissonanza di opinione degli stessi protagonisti istituzionali
circa l’esistenza in città della mafia, nelle sue varie forme; la buona
incisività degli interventi comunque realizzati in diversi settori
investigativi. Il primo dato riflette il cronico dibattito delle regioni del
nord: c’é/ non c’è. E nulla lo illustra bene quanto la dichiarazione di una
magistrata stimata come Anna Canepa. “Ho speso dieci anni della mia vita professionale
per cercare il riconoscimento del reato di associazione di stampo mafioso a
Genova”, diceva alla Commissione, ricordando di non essere riuscita a ottenere
la condanna per tale reato contro noti emissari di Cosa Nostra. Il secondo dato
(l’incisività di alcune operazioni) dimostra che la materia per intervenire
c’era e si riproduceva a macchia di leopardo. Le organizzazioni mafiose qui non
spadroneggiano sul territorio -era la sintesi della Commissione-, non sono
contigue alla politica, ma esistono e tendono a insediarsi ulteriormente per
una pluralità di motivi, anche strategici (la Francia, il porto, la Versilia,
ecc).

Basta leggere gli atti, dunque.


Molti nomi sono già lì, se
il problema è quello. A me sembra però che il dibattito sorto dall’allarme-denuncia
di Marta Vincenzi sia soprattutto un “già visto” in piena regola. Trent’anni fa
tipico (per malafede) delle regioni del sud. Da un po’ di tempo tipico (per
impreparazione) delle regioni del nord. Con le consuete, e dannose,
interferenze della ragion politica. L’altro giorno, solo per fare l’ultimo
esempio, il prefetto di Parma ha smentito Saviano sulla presenza della camorra
in città. Ma la magistratura emiliana competente lo ha subito smentito a sua
volta: a noi invece risulta e ci stiamo indagando; le sono già stati confiscati
dei beni, addirittura (come alla mafia a Genova, peraltro). Ancor più clamoroso
fu il caso del procuratore generale di Milano che nel ’92 aprì l’anno
giudiziario smentendo che vi fossero prove di una presenza della mafia in città
e provincia. Era una polemica indiretta contro chi, in consiglio comunale,
aveva chiesto e ottenuto una commissione d’indagine sulla mafia. Bene, nei tre
anni successivi la Procura di Milano arrestò migliaia (migliaia!) di membri
delle cosche calabresi. E il maxiprocesso relativo si concluse con più
ergastoli di quanti ne avesse mai irrogati un tribunale siciliano o calabrese.
Occorre conoscenza, dunque. E guardia alta, molto alta.

Qualche mese fa dei signori con valigetta piena di
banconote hanno fatto visita a qualche commerciante di Nervi promettendo aiuto
in caso di bisogno. E’ un classico: crisi di liquidità-usura. Ne è nata
un’assemblea pubblica con pubblica denuncia. A parlarne si nuoce all’economia
cittadina? Questa, mi si permetta di notarlo, è da sempre la prima obiezione
nelle città malate di cultura mafiosa. L’economia cittadina si difende
piuttosto tutelando al massimo la trasparenza, la libertà e la sicurezza del
mercato, degli affari e dei singoli operatori. Non bisogna cannoneggiare su
nessuno. Solo stare attenti e non dimenticare quel che già è accaduto. Il
turismo non ne soffrirà. A Roma la confisca (giustamente pubblicizzata) dei
beni della banda della Magliana non ha frenato né le visite al Colosseo né quelle
ai Musei Vaticani. La mafia, diversamente dalla piccola malavita, non fa
borseggi né rapine ai turisti. Si occupa d’altro. Questo almeno dovremmo
saperlo tutti.

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