Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Liste sulla lavagna, l’ultimo schiaffo ai ragazzi
(la Repubblica, Genova – 25 maggio 2009)
– Prima o poi doveva succedere. La storia del Casaregis, la
vicenda di quei nomi in odore di clandestinità vergati in bella mostra sulla lavagna
“a fin di bene”, è l’esito perfino inevitabile di anni di dichiarazioni,
proposte di legge e nobili comizi. Perché nella notte della ragione, qualcuno
che viene attratto dal fascino della società geometrica e ben ordinata anche a
scapito dei più elementari sentimenti di rispetto (e di pietà) arriva sempre.
Sempre spunta nella gelata delle menti qualcuno che trova ragionevole ciò che
in tempi di “nessun dorma” apparirebbe grottesco e perfino carico di una sua sottile
missione di violenza. Hanno voglia l’Unione Europea, l’Onu, l’Unesco di
dedicare questo o quell’anno al bimbo o ai diritti del fanciullo. La verità è
che questi anni di fango, questi anni in cui l’ubriachezza si fa pensiero o
teoria politica, stanno progressivamente scaricando sui minori i costi di un
conflitto ideologico di cui essi nulla sanno; che essi solo fiutano con occhi
sbarrati quando gli bussa all’uscio di casa. Questo sta accadendo: l’età dell’innocenza
o del sogno adibita a luogo di scarico delle pulsioni più rancorose e più
paurose (doppiamente: perché nascono dalla paura, perché fanno paura) di una
società in cerca d’autore.
L’abbassamento dell’età imputabile (dodici anni? dieci?),
la nascita senza assistenza medica, le impronte digitali, il proprio nome sulla
lavagna, moderna celebrazione di quella lista di proscrizione che sempre si è
ispirata alle ragioni dell’ordine (qualcuno ha visto mai, d’altronde, liste di
proscrizione compilate al servizio del disordine?). Tutto questo si affolla nei
nuovi scaffali nazionali delle libertà e delle garanzie. Quel che è accaduto a
Genova dunque non è un marchio d’infamia o, detto con linguaggio più asettico,
una spia inquietante che grava sulla città. Lo spirito dei tempi non fa
eccezioni, non risparmia nessuno. Può esaltarsi dove gioca in casa; può segnare
in contropiede dove è più costretto
sulla difensiva. Così ha fatto a Genova. Andando in gol con quelle scritte in
gesso fredde e squadrate come ordinanze di caserma. Non c’è dubbio: chi le ha
tracciate lo avrà fatto con le migliori intenzioni; le stesse di cui, come è
noto, sono lastricate le vie dell’inferno. Ma ora è importante che la città
senta a pelle una profonda estraneità culturale verso quegli avvisi che
denudano e lacerano sensibilità e storie personali. Che la sua antica
tradizione di apertura e di scambi, ma anche di solidarietà sociale, la ripari
dai torpori portati dallo spirito dei tempi. Che ne avverta il rischio estremo.
Qui potremmo arrivare. Qui non vogliamo arrivare.
I minori – adolescenti, bambini – che in ogni situazione di
pericolo sono per antonomasia i primi a dovere essere messi in salvo. I minori
che con le loro fattezze immortalate in questa o quella foto hanno
rappresentato nella forma più acuta tutte le tragedie del secolo breve. Loro a
cui proprio non riusciamo, neanche nell’età satolla dei diritti, a risparmiare
le violenze di sempre, dalla schiavitù allo sfruttamento al turismo sessuale.
Loro, almeno loro, siano messi in salvo da questo scontro sull’inclusione e
sull’esclusione, da questa guerra alla pietà ribattezzata lotta al “buonismo”.
La cosiddetta “città dei nonni” abbia per i suoi minori, per tutti i minori, quel
rispetto umano che manca a chi è nell’età del guerriero e per questo si sente
arruolato nell’ultima guerra di civiltà partorita dalle nostre menti.
Nando
Next ArticleFede e la nonna di Noemi. Una risata vi seppellirà