La novella del Blog che venne chiuso e poi riaperto

C’era una volta un signore in età ormai matura che faceva politica da più di quarant’anni. Politica come impegno pubblico. La polis per lui era Milano, l’Italia o il mondo, indifferentemente. Ma non si può dire che avesse qualche particolare merito per questo. Non si trattava di una sua scelta, infatti. Semplicemente ci era capitato dentro. Aveva appena diciotto anni quando gli accadde di incontrare il più grande movimento di contestazione della seconda metà del Novecento. Tutti facevano politica, lui imitò i più grandi. Fece come gli altri. Politica giorno e notte. E gli piaceva un sacco. Quando, quattordici anni dopo, iniziò a pensare di non farla più, la politica gli ammazzò il padre e lui ci si rituffò dentro come per legittima reazione.

E di nuovo, anche se erano cambiati i motivi e i compagni, scoprì che gli piaceva tantissimo. Si sentiva utile; immaginava -pensate- di ottenere giustizia in terra. Addirittura, proprio come a diciotto anni, continuava a sognare di riuscire, attraverso la politica, a cambiare il mondo. A liberarlo dalla violenza e dalla corruzione. Così si mise a fare un sacco di cose. Freneticamente. Sempre con il timore di fare qualcosa meno del necessario. Circoli, riviste, associazioni, movimenti, partiti, osservatori, libri, case editrici. Ebbe perfino l’insano pensiero di governare la sua città. Si fece un sacco di nemici. Ma anche tanti amici, proprio tanti. O almeno così gli sembrava; e così, anzi, riteneva certo per le cose che vedeva e che sentiva. Gli successe di andare in parlamento e poi perfino al governo. E intanto aumentava il numero dei suoi amici. Anche perché, andando su e giù per l’Italia come una trottola, di gente ne conosceva proprio tanta. La incontrava e poi, dopo due o cinque o dieci o addirittura venti anni, la rincontrava. Parlare, farsi ospitare, sperare insieme, bere dopo un dibattito, stringersi la mano, scriversi. Visite lampo in una città o in un paese, ma sempre volti amici. Pensando ai quali diceva di sì, sempre di sì agli inviti. Nelle scuole, nelle biblioteche, nelle università, nei comizi, nei convegni, nelle parrocchie. A orari sconocchiati, se parti alle sei e mezzo del mattino ce la fai, se arrivi alle undici di sera ci basta, l’importante è che chiuda tu, dài, è domenica, ma solo questa volta. Andò avanti così per decenni. I suoi figli, visti assai poco, divennero grandi. I capelli, una volta nerissimi, gli si ingrigirono. Lui continuò con quella mania di andare ovunque: lo meritano, devo aiutarli, la democrazia si regge sulle persone, in questi momenti non ci si può fermare, continuava a ripetere.

La politica, appena poté fare a meno del voto dei cittadini, se ne liberò. In fondo non piaceva al potere, che lo aveva in sommo fastidio. Ma non piaceva nemmeno alla sua parte politica, che di mestiere amava fare l’opposizione, e che lo considerava una specie di testa matta inaffidabile. E non piaceva nemmeno all’opposizione dell’opposizione, quella più dura. Perché, forse per maldestra timidezza, non proclamava di essere in pericolo, non aveva scorte, si preoccupava sempre delle conseguenze che una frase eccessiva poteva avere sul buon senso altrui, specie dei più giovani. Insomma non aveva nulla ma proprio nulla di eroico.

Si ritrovò dunque senza molta compagnia, messo al bando dalla televisioni e tuttavia pimpante. Soprattutto aveva preso gusto a rincuorare gli amici più inclini al pessimismo e a raccontargli le cose belle che vedeva per l’Italia. Si sentiva parte di una grande comunità affettiva pronta a ricostruire la patria dopo il collasso del sistema berlusconiano e, insieme, di una opposizione in difetto di sangue e di cervello.

Un giorno pensò di scrivere un libro. Non la sua storia. Ma qualcosa di più, molto di più. La storia della sua famiglia, la favola doleceamara di quattro generazioni sullo sfondo a tinte forti della storia nazionale. La cosa a cui teneva di più. Famiglia, affetti, memorie, destino, senso di un cammino. Percorso in mezzo a una montagna di amici sparsi dalle Alpi al Lilibeo. Amici a cui, fra tante dimenticanze e assenze, aveva però sempre cercato di stare accanto quando sapeva che la presenza di un amico conta di più: un dolore, la laurea del figlio, un matrimonio. Mica può essere tutta politica, amava ripetere.

Volle presentare il libro nella città che più aveva “servito”. Nel luogo in cui aveva trascorso la sua meglio gioventù. Ci andò contento. Avrebbe trovato lì i suoi amici, chissà quante centinaia, e alla fine della presentazione li avrebbe invitati tutti alla grande festa dei suoi sessant’anni. Una festa del ringraziamento, per loro, in autunno. Entrò e fu come investito da un tuono silenzioso capace di spazzare via un accampamento. La grande sala era praticamente vuota. Vennero un po’ alla volta antichi amici di famiglia. Questa è stata mia moglie, pensò. Poi un po’ di compagni di lotte legalitarie. Un manipolo prezioso. Inutilmente aspettò volti su volti. Un rappresentante, almeno un rappresentante, delle molte comunità fondate o frequentate o aiutate sbattendosi tra un appuntamento e l’altro. Avrà avuto da fare, pensò di molti assenti. Poi, in pochi minuti, risistemò tutto. Il lungo preavviso, l’affollarsi di tanti amici ad altre presentazioni più alla moda. Il messaggio inequivoco ricevuto. Perfino onesto nella sua brutalità. Cercò di raccontare decorosamente il libro. Fece perfino l’invito pubblico alla sua festa autunnale, fingendo di crederci.

A mezzanotte tornò a casa. C’era in frigo una bottiglia di champagne. Regalo natalizio, lasciato in attesa della prima grande occasione. La grande occasione è arrivata, decise. Aprì la bottiglia. E’ arrivato il momento di mandare il mondo affan.., pensò. Stasera la mia partita con la vita è finita; e ho perso, comunicò alla moglie. Una sconfitta chiara, senza attenuanti. Questo è l’ultimo libro che scrivo, aggiunse. E le spiegò, senza che lei riuscisse a trovare contro-argomentazioni convincenti: il messaggio è stato chiaro. Nessuna illusione, mai più. Ho un solo, ultimo dovere: farmi dimenticare. A Stromboli o da qualche altra parte. Fesso io a darmi da fare per decenni per questa idiota illusione che servisse a qualcosa. L’hai visto, perché non mi puoi dire che non l’hai visto, che non gliene frega niente non dico a B, ma nemmeno ai miei amici. Loro lo sanno, le diceva con sofferenza, che le televisioni mi hanno decretato l’ostracismo, compresi i Santoro e le Dandini. Dovrebbero compensare, risarcirmi per questa violenza con cui pago tutte  le mie battaglie. E invece certificano l’ostracismo. Siccome non sono di moda, non vengono. Fine. E poi i giovani, i giovani e gli studenti, questa nuova primavera che ho tanto magnificato, l’hai visto che non ce n’era uno. E allora la festa dei sessanta non si fa più, concluse con la voce incrinata. Basta, qui si chiude, le annunciò arrivato oltre la metà della bottiglia.

Così il mattino dopo chiuse anche il suo Blog. Poi fece quello che non aveva mai fatto in vita sua. Si negò a una richiesta di un gruppo di giovani anche se per quel giorno (l’ennesimo sabato…) la pagina dell’agenda era bianca. Quindi rispose “non se ne parla neanche” alla richiesta di presentare il libro di un suo amico a Roma. Spiegò alla moglie incredula che l’avarizia genera avarizia. Che uno può ben salutare per primo gli altri, ma che, se gli altri non rispondono, alla fine anche la persona più gentile perderà la voglia e la capacità di salutare. Con queste argomentazioni si convinceva sempre più di avere fatto la scelta giusta. Ci teneva, ci teneva quasi con rabbia a convincersi.

Poi andò a Genova, dove pure lavorava. Vide cose belle, qualcuna fatta anche da lui, e si pose qualche nuovo interrogativo. Si disse che se fosse diventato avaro pure lui, quella sarebbe stata in fondo la sua vera, più bruciante sconfitta. Farsi cambiare dagli altri: davvero doveva consentirlo? Davvero doveva fuggire? Così alla fine decise che, d’accordo, avrebbe visto almeno due film all’anno, avrebbe fatto qualche week end di riposo in più all’anno. Ma avrebbe continuato a girare per l’Italia. E avrebbe riaperto il suo Blog. Che colpa ne avevano i blogghisti di quel tuono silenzioso che avrebbe spazzato via un accampamento?

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