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In terra di Gomorra, la trincea delle trincee
(Tratto da L’Indice dei libri del mese – giugno) Quando uscii dal cinema mi accorsi di provare un senso di
disagio. Il film, “Gomorra”, era stato bellissimo. Un pugno nello stomaco. Eppure
mi sembrò che mancasse qualcosa, che ci fosse un’assenza strana, ingiustificabile
anche nella necessaria semplificazione narrativa. Manca una figura positiva,
pensai. Un prete, un giornalista, un consigliere comunale. Un insegnante,
soprattutto. Mica perché gli scenari violenti e degradati debbano per
forza avere al loro interno un
ingannevole segno di speranza, quasi ad acquietarci la coscienza. Ma perché io,
per decenni, quel segno l’ avevo visto, l’ avevo sempre visto. L’insegnante: l’insegnante del sud, della Campania,
di Gomorra.
L’avevo visto nei rioni di Napoli. I maestri di strada. Sono
diventati un modello anche per l’Onu, i
maestri che se ne vanno di quartiere in quartiere a cercare i loro drop-out, per
portarli per mano a prendersi il diploma dell’obbligo. Programmi personalizzati
e santa pazienza nel seguire i bioritmi adolescenziali, perché, come dice Marco
Rossi Doria, il più noto esponente di questa figura sociale tipicamente
napoletana, "la notte è loro". Ricordo quando, da parlamentare,
lavorai su una scuola dei Quartieri Spagnoli di Napoli, in via Pasquale Scura.
Camminare per quelle vie e quei vicoli sarebbe stato impossibile per qualunque
“straniero”. Il maestro di strada garantiva silenziosamente per me, anche
passando davanti ai crocchi più ostili, ai guaglioni, ai capi, alle signore dei
clan. Con lui collaboravano, e bene, quelli che non stavano in strada ma tra le
mura della scuola. E che anzi si erano messi in testa di portare la strada
dentro la scuola. Di fare prendere il diploma dell’obbligo alle mamme più
giovani, per esempio. Le scuole medie inferiori, un po’ il ventre molle del
nostro sistema scolastico, in Campania diventano spesso avanguardie decisive. Capaci
almeno di ritardare l’ ingresso dei ragazzi nell’orbita della criminalità. (continua)
Progetti in serie. Ricordo un fuoco d’artificio di
iniziative. Il progetto "Chance", il progetto “Spora”, il progetto
"ragazzi in commercio", il progetto "fratello maggiore", il
progetto "madri". Era un elenco inesauribile quello che il comitato
parlamentare che coordinavo si sentì sciorinare nella prima visita ufficiale.
Nei Quartieri Spagnoli; ma anche a Ponticelli, il quartiere dove operava un
altro tra i maestri di strada più conosciuti, Cesare Moreno, e dove da tempo la
polizia aveva difficoltà a penetrare, esattamente come nella Scampia del film.
Progetti. Reti istituzionali. Coinvolgimento
dell’università, degli istituti di ricerca. Dei magistrati e delle associazioni
di categoria, dai commercianti agli albergatori. Una partita defatigante con il
mondo esterno. Vittoriosa fino alle due del pomeriggio e poi perdente fino alle
otto del mattino successivo. E’ stato a Napoli che mi è stata rappresentata la
scuola come una immensa, speciale Penelope. Che tesse la sua tela e poi si
ferma per vedersela disfare ogni giorno. I clan con le loro offerte di soldi, il
quartiere con i suoi bisogni di sopravvivenza e i suoi pregiudizi, la
televisione con i suoi modelli di vita e i suoi messaggi consumistici. E’ già un
miracolo, da queste parti, riuscire ottenere il rispetto formale per la scuola
del quartiere. In un viaggio a Napoli con la Commissione antimafia restai sbalordito
per le cronache di vandalismo che avevano riguardato gli istituti scolastici,
soprattutto superiori, nel corso dell’anno. Allagamenti alla succursale della
"Caccioppoli", con introduzione di vermi e topi, sassaiola e incendio
(e allagamento finale) alla "Lucrezio Caro", furti e saccheggi e
asportazione di cinquanta computer dal "Galileo Ferraris" del
famigerato quartiere di Scampia, nonostante sistemi antifurto e vigilantes
privati. Chi poteva insegnare in quelle condizioni? Eppure una di quelle scuole,
l’istituto tecnico-commerciale "Ferdinando Galiani", a San Carlo
all’Arena, si stava caratterizzando proprio per la qualità delle sue
sperimentazioni didattiche. Progetti di imprese giovanili, questionari sulla
camorra usati in tutte le scuole della città. Aveva trovato ospitalità anche
sui programmi Rai, per come gli studenti (aspiranti ragionieri…) sapevano Dante
e la letteratura del Trecento. La notte
incendio della palestra, svuotamento degli estintori, spazzature nelle aule e
infine allagamento. E al mattino, sotto la guida della preside Armida
Filippelli, si riprendeva con i progetti.
Ma anche
fuori Napoli, anche nella immensa e lunare conurbazione fino a Caserta, si
trova sempre lui o lei, comunque l’insegnante.
Ad esempio all’Itis di Aversa, la scuola dove insegnava don Peppino Diana, il
prete ucciso in sacrestia a Casal di Principe. Dove sotto la guida di Maria Luisa
Coppola e Agata Avvedimento ha preso il via il programma “Scuole aperte”; che
vuol dire che i ragazzi devono potere contare sui locali della loro scuola
anche dopo gli orari di lezione, e che quei locali sono tutt’uno con la
comunità intorno. O addirittura nella Casal di Principe del famigerato Sandokan
Schiavone, dove hanno decretato la condanna a morte di Saviano; perfino lì ho trovato,
un anno e mezzo fa, un gruppo di professoresse impegnate in programmi civili.
Di nuovo una scuola media, stavolta a indirizzo musicale, la “Dante Alighieri”.
Lì dove negli anni ottanta uccisero tre ragazzi facendoli trovare bruciati
accanto al cimitero e a manifestare furono in quattro (quattro…), e tutti gli
altri vennero dai paesi accanto, stavolta una ragazza della III A, Concetta, si
è alzata in piedi dicendomi a nome dei suoi compagni “benvenuto nella città
dove la camorra regna sovrana”. La preside Maria Gallo si è goduta lo
spettacolo delle sue allieve che prendevano l’una dopo l’altra la parola. Alla
fine, mentre uscivo scortato dalla polizia, ho scoperto che i ragazzini e le ragazzine
si erano ammassati sulle terrazze e da lì mi salutavano festanti. Così si
lavora in una scuola nella “inespugnabile” Casal di Principe…
E Scampia, lo spaventoso set di Gomorra, dove le
inquadrature del più grande film di denuncia dovettero essere negoziate con i
boss? Scampia, la terra dei “cercatori d’ero”, periferia napoletana cresciuta
come un fungo per ospitare i diseredati del Rione Sanità negli anni del
terremoto, quarantaquattromila
abitanti, praticamente come Mantova? Qui -sì, anche qui- lo scorso autunno si
sono dati convegno operatori sociali, preti, insegnanti. Tre giorni interi a
parlare di droga in uno dei più grandi porti franchi della droga. Tra gruppi di
fuoco, spacciatori, killer per ambizione e per piacere, si sono messi loro, “la
trincea delle trincee”. Gli abiti dignitosi di chi campa con millecinque,
duemila euro al mese, le facce di chi legge almeno due libri al mese. L’appuntamento
era in uno spazio immenso, piazza Grandi eventi. Sulla destra quattro delle
celebri “vele”. Erano sette, ne han buttate giù tre. Due sono imprendibili fortini di camorra, vero
comando militare della zona. In quei giorni sono spuntati 67 stand e 19 unità
mobili su tutto il piazzale, mettendo a soqquadro il paesaggio, tanto che le
sentinelle sono scese dai fortini per sapere che diavolo stesse succedendo. Rosanna
Romano, dirigente del settore “fasce deboli” della Regione, alla fine ce l’ha
fatta. Centinaia di persone al giorno. Una decina di scuole coinvolte. Un
auditorium affollato di persone colte e civili, con giovanissime hostess
dell’istituto turistico “Vittorio Veneto”, eleganti come sarebbero potute
esserlo studentesse del Mamiani o del Parini.
Un giorno, mentre insegnanti e operatori si susseguivano
nei loro interventi, spiegando il rifiuto dell’idea di potere essere loro “i
salvatori”, è giunta la notizia di due carabinieri arrestati a Casal di
Principe; giusto a sottolineare la difficoltà infinita di “essere Stato” in
queste terre. Giusto,
anche, ad aumentare la delusione per non vedere uno straccio di
giornale o di tivù interessato a quella strepitosa impresa che era andare a
parlare di droga nel cuore del narcotraffico armato. Come nel film, l’insegnante
di Gomorra sarebbe rimasto invisibile.
Nando
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