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L’ermo colle brianzolo. Racconto di bambini che non giocheranno più come prima
E’ un po’ lungo, questo pezzo. Ma mi pare una bella iniezione di cultura ambientalista. Me l’ha mandata in forma di lettera Silvia Fumagalli, di Olgiate Molgora, provincia di Lecco.
"Abito in un piccolo paese della Brianza, nei pressi del parco di Montevecchia e della valle del Curone: morbide colline, cascinali, coltivazioni alternate a boschi, aziende agrituristiche, cipressi, terrazzamenti, torrenti e sorgenti; sembra di essere in Toscana, invece siamo tra le due città di Milano e di Lecco.
Durante la settimana i bambini giocarono con gli animatori, simpatizzarono con la cuoca, finsero di essere uomini primitivi per costruire lance con bastoni e selci, camminarono nel bosco di notte guidati dalle guardie ecologiche; l’ultima sera andarono fino alla quercia ferita e qui incontrarono un piccolo gnomo, nel cui grande sacco affidarono i propri desideri. Quando andammo a prenderla la bambina era entusiasta, e l’educatrice mi riferì che aveva dormito benissimo.
Dove andranno, i nostri nipoti, a osservare girini e salamandre, sentire la risata del picchio verde, scoprire le tracce degli animali del bosco, fare mille domande sui prodigi della natura, o semplicemente correre nel prato con altri bambini? Direttamente nel pozzo?
Penso a queste cose mentre cammino alla ricerca dei gruccioni, arrivati questa primavera, dopo anni che non passavano di qui. Mio marito li vuole fotografare.
Eccoli, li abbiamo avvistati. Là, dove ci sono quelle mucche. Mi fermo per osservarli. appoggiata alla staccionata del sentiero: quanto sono attivi gli uccelli! Non stanno mai fermi, improvvisano rapidi voli, costruiscono il nido, imbeccano la prole, intraprendono lunghi viaggi migratori. Perfino mentre becchettano quel po’ di cibo stanno guardinghi, pronti a fuggire da un eventuale pericolo incombente.. . Questa solerzia li rende un pò simili a noi umani, sempre indaffarati nelle nostre faccende quotidiane. Danno l’idea, però, di essere un pochino più contenti rispetto a noi. Leopardi così conclude il suo “elogio degli uccelli”: “Similmente io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita.”
Le tre coppie di gruccioni svolazzano sopra il piccolo pascolo a caccia di insetti, posandosi, tra una incursione e l’altra, all’estremità di un ramo di ciliegio, a due a due. Bellissimi uccelli africani dal piumaggio vivacemente colorato, in rotta migratoria verso il nord, alla ricerca di un luogo dove nidificare. Hanno percorso migliaia di chilometri e non sembrano nemmeno stanchi. Paiono così a loro agio, su quel ciliegio isolato, mentre fanno rifornimento. Con l’animo aggravato dagli ultimi avvenimenti, penso: beati loro che non hanno avuto bisogno di nessun petrolio per il lungo viaggio.
Mi viene in mente lo slogan leghista che ha accompagnato le prime manifestazioni di protesta contro la società petrolifera: “PADRONI A CASA NOSTRA”
Cosa c’entra questo slogan in questa storia? Padroni di che, scusate? Casa nostra di chi?
Padrone. Una parola dal suono arrogante, attenti che se le si cambia una vocale diventa “predone”.
Se il tizio che cerca petrolio nel Parco del Curone fosse un brianzolo invece di un australiano, allora non ci sarebbe nessun problema? Se quel ricco brianzolo comprasse tutto il Parco a suon di miliardi, sarebbe padrone a casa sua, e allora?
Casa nostra. Che pretese. La natura deve essere per forza di qualcuno? Quel ciliegio di chi è? Possiamo guardarlo? E quel castagno alto trenta metri? E il fresco del bosco, di chi è? Il vento solleva le foglie e diffonde profumo di robinia: chi devo ringraziare, per quel suono lieve, e quel profumo dolce? E quei sei gruccioni che sono passati da qui, ignari della minaccia che incombe, di chi sono?
Noi non siamo padroni di niente. La natura non deve avere padroni, non può essere comprata, non ha prezzo. Dobbiamo lasciarla ai nostri figli, come i nostri padri l’hanno lasciata a noi. Di là non porteremo nulla, qui lasceremo ciò che abbiamo fatto.
I gruccioni fanno fuoriuscire il veleno delle prede velenose prima di ingoiarle, noi liberiamoci dalla velenosa sete di denaro.
E ricordiamo il monito dei pellerossa: “Quando avrete inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo pesce, ucciso l’ultimo bisonte, solo allora vi accorgerete che non potete mangiare tutto il denaro accumulato nelle vostre banche”.
Nando
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