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La settimana dei diritti e dei doveri da rispettare
(la Repubblica Genova – 17 luglio 2009) – La settimana dei diritti è incominciata e, insieme a tanta
attenzione e curiosità, circola nei canali informali un ritornello: diritti,
sempre diritti, quando si parlerà di doveri? L’argomento, non c’è dubbio, ha un
suo fascino. E siccome il sottoscritto crede molto nei doveri (di tutti), sente
un po’ l’obbligo di entrare nel merito di un refrain che gode di una
formidabile rendita di posizione: la stanchezza per tanti diritti invocati a
vanvera e senza alcun fondamento costituzionale, dal 18 politico alle richieste
di amnistia per gli anni di piombo o per Tangentopoli, fino al famigerato
indulto del 2006.
Diritti. E’ una parola chiave della nostra civiltà. Che
essendo il punto di arrivo (provvisorio) di una lunga e faticosa vicenda umana
ha allineato dietro di sé generazioni di princìpi che nessuno saprebbe
seriamente mettere in discussione, se non che è la realtà stessa a farlo, si
tratti delle nuove schiavitù o del risorto mito della censura. Diritti umani e
diritti civili, diritti sociali e diritti religiosi. E non solo. Il fatto è che
i diritti hanno normalmente come loro corrispettivo proprio dei doveri,
spesso impegnativi. Forse non ce ne accorgiamo proprio perché abbiamo una
scarsa dimestichezza con i doveri, ma è esattamente così: i diritti non si
sommano indefinitamente, ma segnano limiti e obblighi fino a quel momento
inesistenti o non percepiti. (continua)
I diritti bioetici implicano il dovere per tutti
di rispettare la sfera più sacra e intima della individualità altrui. I diritti
delle vittime implicano per la comunità intera il dovere (per nulla semplice)
della memoria e della giustizia. Il diritto all’informazione implica per i
potenti il dovere di inchinarsi alle regole della democrazia. E, per esempio
nella Russia di Putin, di fermare le bande di assassini che ammazzano a
grappoli i giornalisti critici verso il governo. Così come il diritto dei
disabili fisici implica per le amministrazioni, per gli urbanisti, per gli
architetti, doveri supplementari nel loro lavoro verso chi non può muoversi e
spostarsi come la maggioranza dei cittadini.
O, continuando, i diritti dei
cittadini davanti alla pubblica
amministrazione implicano per impiegati e funzionari dei doveri di solerzia, di
rispetto, di trasparenza in grado di mutarne radicalmente le abitudini. Lo
stesso vale per i diritti dei risparmiatori verso le banche. Il tema dunque non
è quello di contrapporre ai diritti i doveri, come parola e terreno più nobile.
Ma è di vedere se e quali diritti ci appaiano meritevoli di maggiore protezione
e possano diventare dunque fonti di doveri simmetrici verso altri soggetti.
Perché a volte si ha la sensazione che sia proprio questo fenomeno a somma zero
(più diritti da un lato, meno diritti dall’altro) a essere rifiutato, in nome
di abitudini e privilegi consolidati.
Altre volte, invece, si ha la sensazione che, magari
perché urtati da aspettative incongrue di diritti da parte di chi vive ai
confini della legge, si tenda a rifiutare del tutto l’idea di un incremento di
diritti di alcune categorie deboli. Per capirsi: chi arriva in Italia non ha
affatto il diritto (lui come gli italiani) di non rispettare le leggi. Ma chi
ha la residenza da un certo numero di anni e paga le tasse da un altrettanto
numero di anni ha il diritto di dire la sua su come quei soldi vengono spesi.
La settimana dei diritti non è dunque la festa della cialtroneria ideologica,
occasione per predicare il paese della cuccagna. Ma è l’invito a parlare di
diritti ragionevoli o di diritti sanciti da secoli. Per capire a che cosa (in
termini di soldi, di prepotenze, di abusi, di inerzie, di ruberie) si debba
rinunciare per garantire giusti diritti a cittadini ed esseri umani. Ed
eventualmente per confrontarsi sul fondamento storico ed etico di alcune
domande (per esempio: il diritto d’asilo). Che in una società dove il dovere è
spesso straniero, si rigettino i diritti dei deboli in nome del dovere, fa un
po’ malinconia, ammettiamolo.
Nando
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