BORSELLINO. MISTERI E PAPELLO


(l’Unità, 18 luglio 2009) – Chissà perché non bisogna sospettare l’esistenza di una storia parallela.  Chissà chi  ha decretato che uno studioso serio si debba accontentare della storia ufficiale. Basta pensare a Palermo e alla Sicilia per sentire l’impulso di strappare le tende. Borsellino, per esempio. Diciassette anni fa domani. In tanti si chiesero perché Cosa Nostra avesse voluto sfidare in quel modo lo Stato subito dopo la strage di Capaci. Ci si chiese che cosa stesse scoprendo il giudice, certo consapevole della zona proibita in cui si muoveva, se è vero che nel suo ultimo discorso pubblico la sera del 25 giugno diede a tutti la precisa sensazione di sapere di dovere morire di lì a poco. Poi vennero le famose questioni mai risolte. La traiettoria che portava diritti in linea d’aria da via D’Amelio alla sede dei servizi segreti al castello Utvegio, e l’ipotesi che di lì qualcuno avesse potuto osservare i movimenti di Borsellino fino alla fine del mondo delle cinque del pomeriggio. La scomparsa dell’agenda rossa. In genere si dice che la violenza mafiosa di quella primavera-estate del ’92 (assassinio di Lima, Capaci, via D’Amelio, assassinio di Ignazio Salvo, più qualche altro attentato contro politici messo allo studio) abbia avuto una spiegazione del tutto sufficiente. E cioè il fatto che per la prima volta in 130 anni di unità d’Italia, dei capi mafiosi fossero stati condannati all’ergastolo in via definitiva. E che questa novità avesse fatto letteralmente impazzire la Cupola portandola a eliminare chi aveva promesso impunità non ottenute e chi, al contrario, aveva tenacemente impedito quelle impunità. E anche che la mafia avesse voluto partecipare all’elezione del presidente della Repubblica mettendo per vendetta fuori gioco Giulio Andreotti, sospetto di compiacenze con i clan, proprio con l’assassinio di Falcone.

Già così è uno scenario mozzafiato.


Una
mafia che conquista le impunità in Cassazione e prende parte alle
elezioni per il Quirinale, una mafia che punisce senza pietà amici e
nemici, pone infatti interrogativi inquietanti su ciò che non sappiamo
in via ufficiale sulla storia degli anni ottanta e degli anni novanta. Ad esempio: quali omicidi furono compiuti  negli
anni ottanta da Cosa Nostra in cambio di promesse di impunità che il
maxiprocesso fece saltare? E quali amici politici pensava di cercarsi
Cosa Nostra negli anni novanta mentre faceva tabula rasa dei suoi
alleati più potenti?

Ora
però c’è di più. Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito il
corleonese, sta parlando. E torna lo spettro del papello, la trattativa
con lo Stato condotta nel ’92- ’93 a colpi di stragi. E inoltre spunta
una lettera di Riina indirizzata a Berlusconi già “sceso in campo” in
cui il capo dei corleonesi gli chiederebbe di mettergli a disposizione
una rete televisiva. Sulla base di quali rapporti?  La
storia che parte da Portella delle Ginestre sembra davvero una storia
infinita. Riaprono i processi già chiusi. E forse potrebbe essere
riaperto anche il filone dei mandanti esterni a Cosa Nostra per
l’assassinio del prefetto dalla Chiesa. Restano sempre quelle domande,
infatti: chi e perché entrò in casa del prefetto la notte del delitto?
Chi e perché aprì la cassaforte?

Leave a Reply

Next ArticleVia D'Amelio, mattanza russa e Barbara ripensaci