Il mio compagno di giochi

Scritto da me medesimo per www.mentelocale.it del 14 agosto

 

Consigli estivi? Be’, dovendo darne dalla Calabria jonica direi subito a tutti di venire  da queste parti. Che avranno un aspetto più brado del versante tirrenico. Che saranno più “out” e introdotte solo da poco all’estetica e ai servizi del turismo di mondo. Ma sono anche meno costruite, hanno il mare più pulito, infilano lunghi tratti di spiaggia libera come nessuno più se li si sogna e costano meno. E a volte danno la sensazione di essere stati catapultati da una prodigiosa macchina del tempo in qualche spiaggia degli anni sessanta. Spaghetti allo scoglio sotto un bel tetto di canne e frasche. Pesce e ancora pesce e vino e ancora vino per venticinque euro. E grandi tramonti con il sole alle spalle.

Ma non devo dare consigli. E dunque vi parlerò del mio compagno di conversazioni e giochi di queste tranquille giornate joniche. Perché è proprio un bel tipo il mio compagno, di quelli che si incontrano e si possono frequentare solo in vacanza. Certo uno come lui non lo trovi al lavoro, e nemmeno quando giri per l’Italia con le tue fisime civili e di antimafia. E’ particolare già dal nome. Si chiama Julio Carlos,  anche se sulla spiaggia la “s” gliela confiscano tutti con disinvoltura, italianizzandolo più del dovuto. E’ figlio di madre cubana e di padre italiano, un calabrese alla Gattuso con la vita zeppa di viaggi per diporto e per lavoro. Julio Carlos non è di molte parole, eppure ci intendiamo alla perfezione. A volte tra noi basta uno sguardo. Per me, abituato al profluvio di parole della politica e del mondo accademico, sembra di trovarmi in un’oasi dello spirito. Parliamo di quello che piace a me ma soprattutto a lui, dei suoi sogni più elementari. Lui li descrive con poche, misurate sillabe; poi mi ascolta, guardando il mare o succhiando un gelato in silenzio. A volte chiama un cane suo amico e se lo tiene accanto. Se sente la musica, ed è facile perché dal chiosco più vicino viene tutto il tempo della musica reggae, lui si dimena con leggerezza, accenna dei passi di danza e mi sorride. Gli viene dalle vene, e tutti quelli che lo osservano commentano che i neri sono così, si vede che ce l’hanno nel sangue il ballo. Se prova qualche emozione, e anche questo gli succede spesso, gli occhi gli si dilatano. Diventano grandi come raramente ne ho visti. L’altro giorno mi ha ricordato di colpo gli occhi dei sassofonisti jazz mentre sono al massimo dello sforzo, facendomi venire in mente vecchi filmati di New Orleans, la patria delle orchestrine di colore. A volte, per sciogliere i muscoli al tramonto, corre sulla spiaggia e sembra Abebe Bikila, il maratoneta dei miracoli olimpici. Altre volte si mette a correre da fermo su un metro quadro di arenile. Una cosa mai vista, ma lui la trova assolutamente naturale.

Davvero un gran bel tipo, Julio Carlos. Nonostante i suoi due anni. E anche se, pur essendo mio nipote (è figlio di un figlio di mia sorella Simona), non sa ancora pronunciare il mio nome. Però quando mi chiama da lontano lo capisco lo stesso.

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