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Arizona Colt. Quando è meglio non andare da nessuna parte
Ah, ‘mbé, ce ne sono di cose di cui discutere nonostante l’estate, stagione ideale per le fesserie di fanfaroni e ciarlatani. Direi perfino troppe cose serie. Tra elezioni in Afghanistan, partito del sud e unità nazionale, rapporto Bankitalia sul lavoro degli immigrati (ci voleva!), i successi dei nostri giovani scienziati in esilio, l’addio di Kezich e della Pivano (un grazie di cuore a tutti e due), e chissà quante altre cose, non si sa da dove cominciare. Terrò dunque un approccio “glolocal”, come si dice, ossia un po’ mondo un po’ Stromboli.
Nel mondo segnalo a tutti (e sopra tutto) la scena oscena del comizio di Obama in Arizona. Le grandi assicurazioni, da brave sanguisughe, cercano di intimidirlo in ogni modo per impedirgli di difendere il diritto alla salute dei più deboli. E quindi gli mandano ovunque gruppi di “cittadini indignati” a far teatro e a boicottare i suoi interventi in pubblico. Già questo mi sembra degno dei peggiori padroni delle ferriere. Ora (in Arizona appunto) sono arrivati ad assistere in armi ai suoi comizi, con pistole e mitragliette ben visibili; così, per mandargli dei liberi messaggi, visto che le armi in certi stati si portano liberamente. Pare che la polizia non possa niente, là dove due Kennedy sono stati uccisi e un Martin Luther King pure e un Ronald Reagan ci poteva rimanere. C’è da restare allibiti. Da interrogarsi e reinterrogarsi su che cosa intendiamo tutti per civiltà occidentale.
Segnalo poi nel nostro paese la diffusione di una malattia non conclamata ma che galoppa più della suina. Si tratta di una fissazione contagiosa che ottunde le facoltà mentali degli individui e che al momento appare incurabile. La si riconosce dalla recitazione compulsiva e inebetita della seguente formula: “in questo modo non si va da nessuna parte”. Davanti a una parola, una persona, un cane, una pietanza, un vestito, un triciclo, un costume da bagno che non piacciono. Urge intervento del servizio sanitario; al quale bisogna tempestivamente segnalare i portatori di questa malattia, segretamente battezzata dagli scienziati “tarantolite autoritaria”. Solo una paranoia autoritaria può infatti portare un singolo a minacciare milioni di sconosciuti che non potranno “andare da nessuna parte”. E, ancor prima, a pensare che essi vogliano andare sempre da qualche parte. Io per esempio sto benissimo a Stromboli. E per qualche giorno guai a chi mi muove. E quando sarò a Milano magari sognerò di stare una settimana di fila a scrivere, tutto chiuso in casa, e pussa via a chi mi propone un viaggio. O a altrettanto a Genova: una settimana di fila a creare eventi.
Chi sa benissimo da che parte andare è invece Noemi. Già. E’andata, indovinate dove?, a Porto Cervo, di fronte a B. che naturalmente non la vedrà perché ora deve fare cene simpatiche ed eleganti. Domanda giustizialista: come fa la figlia di un commesso comunale ad andare con famiglia a Porto Cervo? Io, a parte l’antropologia, non riuscirei mai ad andarci pur essendo statisticamente (ossia al lordo degli evasori) tra i privilegiati di questo paese. E infatti sono a Stromboli, che proprio di massa non è ma dove ieri sera ho speso cinque euro per vedere “Il Divo” nel delizioso cinema all’aperto inventato in giardino dalla libreria dell’isola, gestita da una signora toscana capace di rischiare. L’avevo già visto a pezzi, dentro una manifestazione politica. Visto integralmente mette addosso una malinconia… Perché il guaio è che è tutto vero. E’ stato tutto vero. E’ stato consentito che fosse tutto vero.
Nando
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