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Libertà di stampa. La mazza del fabbro e gli squisiti inchini
Kabul. Questo nome proprio di cosa, così drammaticamente evocativo di nomi propri di persona, ci resterà a lungo piantato nel cervello. Dagli aquiloni che non volano più ai morti di oggi. Volevo fare un bel post allegro, gioioso, intitolato “Italia-Berlusconia 2-0”, dove i due gol sarebbero stati il 13 per cento di Vespa e B. (fallimento epocale, da scappare per la vergogna, la tivù di Stato come le opere di Henver Hoxa) e il licenziamento di fatto di Briatore dalla Renault (e già si chiedono angosciati: che cosa fargli fare?, manco fosse un padre della patria rimasto senza lavoro). Invece non si può, perché è giorno di lutto. In cui vorrei riflettere davvero. In cui le uniche cose che non vorrei sentire sono le fesserie ribalde che in questi casi sanno sfornare la retorica fascista e la retorica abietta dei celebri “dieci-cento-mille”. Per favore basta, tacete, tenete le bocche chiuse. C’è da pensare una volta di più su questa guerra, su come si difendono la democrazia e i diritti umani minacciati -e i talebani li minacciano-, sul senso della nostra presenza. Che potrebbe esserci nonostante i sei morti, perché non sono i morti che annullano le buone cause, anzi; però questo senso bisogna capirlo fino in fondo. Oltre, oggi, non vado. Certo non sarò io a cambiare qualcosa. Però i granelli, le gocce, ecc. ecc., insomma ci credo ancora.
Non si può fare post gioiosi. Però si poteva e si doveva fare lo stesso la manifestazione di sabato. Perché revocarla? Lo trovo francamente incomprensibile. Fosse stata una manifestazione contro la politica estera o la presenza in Afghanistan avrei capito. Non si può per rispetto dei morti. Ci fosse stato uno sciopero dei giornali, pure avrei capito. Non si può far mancare l’informazione in un momento così. Ma secondo me era tutto molto semplice: si fa la manifestazione e si ricordano i nostri soldati. C’è troppa paura di sembrare “poco responsabili”. Di là c’è Feltri che tira mazzate come un fabbro in overdose, con Vespa in delirio albanese, di qua dei signori intimiditi dal monito che incombe su di noi da anni, ogni minuto secondo: “qualunque cosa tu pensi o faccia, ricordati che sei colpevole”.
Ricordo quando le Bierre uccisero Marco Biagi. Mancavano quattro giorni alla grande manifestazione di Cofferati al Circo Massimo. Lì i collegamenti tra le rivendicazioni dell’omicidio e l’ostilità della Cgil a Biagi erano ben più difficili da gestire. Eppure la manifestazione non fu disdetta, perché comunque gli organizzatori avevano chiaro che loro con la lotta armata non c’entravano nulla; anzi, che la lotta armata gli gettava un uomo morto assassinato addosso. Fu anche quella coscienza che portò la celebre marea di persone a Roma. Io sommessamente dico che oggi non bisognava fermarsi. Che non bisogna fermarsi mai più, perché ormai si disegna un finale da Caimano. E non sarà bello.
Nando
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