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L’altra scena di Baarìa. Con i beni confiscati, una cooperativa apre il forno antimafia
(Il fatto quotidiano, 23 settembre 2009)
Funziona da dio, il forno. E consegna pizze croccanti e abbrustolite, fatte della farina di grano che arriva dai terreni confiscati alla mafia. Un gruppo di giovani lo aprirà tra un paio di mesi per scuole e gruppi di viandanti vogliosi di sapere come cambia la Sicilia. In via Filippo Buttitta, sulla strada che da Bagheria porta a Palermo. Tutta roba del boss Pietro Lo Jacono. Presa in carico dallo Stato e messa a bando dal Comune. A pianterreno, dove si gode la fragranza del forno, sta la cooperativa “Lavoro e non solo” di Corleone, che già si è fatta carico di gestire i beni confiscati alle dinastie di Liggio e di Riina. Al piano di sopra si sistemerà una comunità terapeutica, una casa-famiglia. Candido sfregio alla prepotenza di Cosa Nostra, alla sua smania di accumulare patrimoni passando come un rullo compressore su libertà e diritti altrui.
Così quel che doveva appartenere a un clan ora è nelle mani di Calogero Parisi, il presidente della cooperativa sociale, un trentenne in jeans e barba, occhi verdi e maglietta rossa, discendente normanno votato all’antimafia. Schierarsi da questa parte a Bagheria non è mai stato facile. L’hanno soprannominata l’ostello della mafia. Ma ci sono andati leggeri. Perché qui tra le acque azzurre che hanno dato vita a una tinta particolare, l’azzurro-aspra, qui tra le insenature e i colori che hanno incantato Guttuso e Tornatore, Buttitta e la Maraini, si sono dati convegno per decenni fior di capimafia. Tra ville ospitali, anfratti e viuzze e amicizie generose. E qui negli anni ottanta veniva a cercarli, con i binocoli comprati di tasca propria, il commissario Montana, forse il primo a essersi messo in testa l’idea di prendere davvero i latitanti. Qui si sono dati convegno con i loro amici Mario Prestifilippo, Leonardo Greco e naturalmente Bernardo Provenzano. E anche Totò Cuffaro e Michele Ajello qui si incontrarono (per purissimo caso) nel retrobottega di una merceria, a pochi metri dal luogo in cui aveva preso il volo, proprio con Ajello, la sanità d’oro fatta di mafia e di tangenti. Insulto alle bellezze di un luogo che ha generato letteratura, arte e poesia.
E architettura. Come quella circolare della Villa Cattolica in cui si raccolgono le opere giovanili, ma non solo, di Guttuso. Lì nel settecento le dame dell’aristocrazia facevano arrivare e conservavano la neve delle Madonie per farne sorbetti, o cercavano riparo nella stanza dello scirocco, la più fresca dell’intero edificio. Lì il giorno della consegna ufficiale del forno, tre settimane fa, circolavano incuriositi i giovani giunti a festeggiare da ogni dove il grande evento. Tra quadri e stucchi e balconcini in ferro battuto giravano magliette senza equivoci (“save earth”,“soy marxista”, una frase del giudice Caponnetto), quasi a celebrare la varietà delle culture antimafiose trovatesi loro, stavolta, a convegno.
Troppo ghiotto l’appuntamento liberatorio. Finalmente sarebbe stata consegnata la pizzeria, con il locale accanto per vendere vino, olio, salsa e ceci dell’antimafia. C’era attesa. Perché sono un’infinità i beni confiscati o in via di esserlo che attendono una destinazione sociale a Bagheria, forse l’unico comune del pianeta che abbia addirittura un assessore “ai beni confiscati alla mafia”, di nome Pietro Pagano. I segreti della svolta in corso? La nuova amministrazione del sindaco Sciortino, certo. Ma anche una vecchia conoscenza della buona politica locale. Uno che sarebbe stato definito da Sciascia, senza scampo, un professionista dell’antimafia. E’ Pippo Cipriani, che negli anni novanta divenne sindaco di Corleone e trasformò la lotta alle cosche in programma politico. C’è lui, oggi, a far da presidente dell’Associazione antiracket e antiusura del bagherese, instancabile tessitore e organizzatore di movimenti. Gli occhiali grandi come fari, lo sguardo da ex ragazzo che non si è fatto ammansire, va avanti e indietro verso il forno, cerca di accelerare le pratiche per l’apertura, concorda riunioni con un paio di insegnanti (“alle elementari e alle medie l’educazione alla legalità è più facile”), si tuffa in incontri ancora accaldati e popolati di ventagli, di magliette a righe e di borselli maschili portati in diagonale. Qui, dice, una volta il Comune non sapeva nemmeno di avere dei beni confiscati. Ora, se ci diamo tutti una mano, finisce che con i beni confiscati cambiamo la città. E accanto alle pizze fatte con la farina che viene da Corleone ci mettiamo il limoncello fatto con gli agrumi della costa. Altri giovani, altro lavoro. A Bagheria il trionfo di Tornatore a Venezia l’hanno preso come un buon auspicio per tutti. Chissà che non sia vero.
Nando
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