Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
La giustizia e gli interpreti a 4 euro l’ora
Il fatto quotidiano, 18 ottobre 2009
La macchia di rossetto sulla tazzina, il cahier de doléance. E’ un attimo. Il pensiero vola a quarant’anni fa. Era il luglio del ’68 quando alle future interpreti arrivò addosso il fulmine. La Bocconi aveva chiuso in un amen la facoltà di Lingue, considerata il focolaio della rivolta che aveva portato alla prima occupazione dell’università della Confindustria. Le autorità accademiche non avevano capito molto di quanto succedeva nel mondo. Ma le future interpreti capirono bene una cosa: sarebbero state professioniste di serie B. A cui si poteva chiudere la facoltà come bere un bicchier d’acqua. Anche se erano di famiglia borghese. Anche se tutti annunciavano che il futuro erano le lingue, che le nostre aziende avevano bisogno delle interpreti (donne, nello stereotipo dell’epoca) come del pane.
Sono passati quarant’anni, appunto. E a Milano a capire che le (gli) interpreti sono professionisti di rango inferiore, serie C o D addirittura, c’è una nuova generazione. Non italiani che imparano l’inglese o il tedesco, ma russi, albanesi, romeni, peruviani, nigeriani, cinesi che hanno imparato l’italiano vivendo qui. Non benestante ceto medio. Ma gente spesso ai bordi del benessere, talora a rischio di doversene tornare a casa per qualsiasi intoppo burocratico. Anche se le loro conoscenze sono preziose per la nostra economia. E per la nostra giustizia. Chiamata da quasi vent’anni a confrontarsi con la criminalità organizzata venuta dall’estero. Clan albanesi e cinesi, nigeriani romeni e kossovari. E terroristi islamici. “Centinaia di convegni per spiegare le difficoltà di combatterli. Che senso ha fare le intercettazioni telefoniche o ambientali se non si capisce un’acca di quello che dicono? E lo sapete quanti dialetti ci sono in Cina, o in Egitto o in Albania? Ci servirebbe un esercito di interpreti. Dicevano così. Poi un po’ alla volta ci hanno trovati”. A Milano hanno fondato perfino una loro associazione: gli interpreti del palazzo di giustizia. La presiede un ingegnere. Sono una sessantina, alto titolo di studio, molti ormai cittadini italiani.
L’appuntamento con alcuni di loro è in una sede dell’Arci. Due donne e un uomo, dagli Urali all’oceano Atlantico. Li chiameremo Silvia, Tatiana e Carlos. Tutti abbastanza giovani, nessuno giovanissimo. Uniti dal piacere della tazzina di caffè di mezza mattina e dalla voglia di raccontare il nuovo scandalo della nostra giustizia. Di schioccare la cifra. Di dire che i professionisti impegnati con la nostra magistratura e con le nostre forze dell’ordine prendono per il loro (decisivo) lavoro nelle indagini sulla criminalità straniera e sul terrorismo quattro euro lordi l’ora. Sì, quanti ne prendono i raccoglitori di pomodoro fatti schiavi dai caporali della camorra. C’è un decreto legge del 2002 che fissa il compenso un po’ più in alto ma resta nel cassetto. In realtà, precisa Silvia con la prosa elegante di una laurea in lingua e letteratura italiana, per le prime due ore di lavoro si prendono quattordici euro. La tariffa dei quattro scatta dopo. E non vengono nemmeno pagati a breve. Perché passano mesi, ormai sono otto, prima che vengano saldati. Eppure i traduttori lavorano in condizioni spesso difficili, se devono stare dietro un’operazione in corso possono arrivare fino all’alba, tradurre tutta la notte. Devono essere a disposizione. E rischiano. Perché ci mettono la firma. E anche la faccia nel vivo dei processi. E nelle comunità di appartenenza le minacce fanno presto ad arrivare. “E’ successo a interpreti romeni a Milano e a Roma. A Bologna a un traduttore rom hanno bruciato la roulotte. E anche nella comunità cinese devono stare molto attenti. Per non parlare dei rischi degli arabi”. E’ anche per questo che in Olanda il loro lavoro viene pagato settanta euro l’ora e perfino in Albania più del sestuplo che in Italia. Perché, ovviamente, “niente interpreti niente indagini”. Ma anche perché rischiano alla stregua di “delatori”, visto che così vengono considerati dagli indagati per la comune appartenenza etnica.
“Ma ad andarci di mezzo è la giustizia”, spiega Tatiana, bianco e inconfondibile abbigliamento est europeo. “Perché con questa paga molti degli interpreti bravi non accettano più le richieste di collaborazione. Se poi lei ci mette anche che non è mai il magistrato che sceglie l’interprete, il magistrato firma, ma la scelta la fa la polizia giudiziaria, viene fuori una situazione assurda. Quella per cui ci stiamo muovendo noi. Tra paga bassa e discrezionalità della polizia giudiziaria, specie in certi corpi, la qualità della traduzione non è affatto garantita. Ma lo sa che può capitare che venga preso un interprete che poi si scopre che è amico dell’indagato? Che ci troviamo a lavorare accanto a persone incapaci di tradurre e che dunque abbondano nella trascrizione di N.I., che vuol dire ‘non inerente’ e che in realtà sono le frasi che non sono state capace di tradurre?” “Pensi”, aggiunge Silvia, “che noi non solo dovremmo capire perfettamente la lingua, ma dovremmo anche sapere interpretare i silenzi, gli ammiccamenti”. “Lo chiamano il ‘contesto extralinguistico’, precisa Carlos”. “E questi non sanno proprio la lingua. D’altronde la legge attuale prevede che per quelli nati fino al ’60 per stare nell’albo dei traduttori basti la licenza elementare. E in ogni caso mica li prendono dall’albo. Perché i traduttori devono essere prima di tutto affidabili moralmente. Che è anche un principio giusto. Solo che poi succede di tutto. Una laureata cittadina italiana è stata sostituita in un’indagine da una studentessa a cui il permesso di soggiorno era scaduto da quattro anni”. “Ma com’è stato possibile?” “Lei che dice?” “Ci provo: giovane e carina?”. “Esatto: bionda e con la minigonna. E’ dovuto intervenire il magistrato. A volte vanno sulle modelle più appariscenti. Un’altra volta è arrivata la commessa del negozio della moglie del maresciallo. Ma mandano anche la badante, o il muratore che non sa i tasti delle lettere da schiacciare”. I tre sono un fiume in piena. “La questione della affidabilità delle traduzioni è saltata fuori al processo per lo stupro della Caffarella ma pure al processo della Thyssen. Si finisce anche per condannare degli innocenti. A Milano è successo con un albanese. E addirittura per un importante processo di terrorismo”. “Sì, è successo”, conferma il procuratore aggiunto Armando Spataro. “La traduzione era stata fatta da uno del dialetto specifico dell’indagato, egiziano; ma è stata considerata inaffidabile dai colleghi spagnoli sulla base delle loro due perizie e hanno scagionato l’imputato dalle responsabilità più gravi”.
Insomma, i quattro euro allontanano gli interpreti qualificati e risucchiano invece verso gli ingranaggi decisivi della giustizia un’umanità variopinta scelta con criteri creativi. “D’altronde non ci spieghiamo perché le grandi società di telefonia che danno le tecnologie per le intercettazioni e hanno costi ben superiori ai nostri siano state pagate e noi no. Forse perché siamo ricattabili in tanti modi. Abbiamo scritto al ministro Alfano a febbraio ma non abbiamo avuto risposta. Anche il procuratore Minale ha fatto solleciti per rappresentare la nostra situazione del 2008, ma anche lui aspetta una risposta da mesi. L’unico che ci può aiutare è Napolitano”. Povero Napolitano, vien da dire. Anche questa… Certo che la domanda cresce con il fragore di un tuono. Ma è possibile che mentre suona ovunque l’allarme sicurezza, mentre si conduce la battaglia campale contro la criminalità degli stranieri “venuti qui a delinquere”, la lotta alla criminalità straniera, quella vera, o la lotta al terrorismo (che ci ha portato in guerra) vengano fatte in questo modo? “Se la prendono con i clandestini, ma non con i clan”, gioca con le parole Carlos. Già. Come dicevano quelli? Facite ‘a faccia feroce. Pensa un po’, gli odiati Borboni maestri di vita…
Nando
Next ArticleAddio Palermo bella (con musichetta...)