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Addio Palermo bella (con musichetta…)
Ahi ahi, Palermo ingrata…Oggi mi sono fatto il seguente pensiero (perché poi uno se li deve anche fare, questi soliloqui mentali). A Palermo mi sono legato da ragazzo. Lì ho scoperto il piacere di studiare di notte, lì ho imparato a suonare la chitarra (ci sarà un ritorno di fiamma alla festazza) e ho scoperto i colori del Mediterraneo. Lì ho fatto l’incontro della mia vita, mi ci sono sposato, ci ho fatto nascere il Gracco maggiore. Poi un giorno Palermo mi ha inferto il trauma della mia vita. In pratica mi ha travolto il destino. La gente in Italia continuava a chiedermi perché non odiassi la Sicilia e Palermo. Io rispondevo che non era colpa “della” Sicilia e che anzi il buono che c’era da quelle parti doveva essere aiutato. Lo pensavo sinceramente e ci mettevo (sapendolo) anche un pizzico di illusione. Sono stato tra i fondatori della Rete, che a Palermo aveva le sue radici più profonde. Insomma, ho fatto davvero quello che potevo per aiutare quella città. Pagando. La Lega fece campagna contro di me, mi dipinse come un mafioso proprio perché amico della Sicilia. Sulla Sicilia migliore ho pure scritto molto, dal “Giudice ragazzino” alle “Ribelli”. Alle soglie dei magnifici 60 la domanda è: ne è valsa la pena? Certo, è facile l’alzata di spalle. Io però so che cosa mi è costato ogni volta tornare in Sicilia, far finta di dimenticare, e poi volere fortissimamente ricordare, e poi provare a non fare né l’una né l’altra cosa. So fin troppo bene che sono riuscito a tornarci nei giorni del Natale solo venticinque anni dopo.
Be’, oggi finalmente ho messo in fila i fatti recenti. Primo. Mi sono offerto di andare a insegnare all’università di Palermo. Come non detto, e non sono l’ultimo docente quanto a seguito tra gli studenti. Sono stato rimproverato per avere espresso questo mio desiderio in un’intervista a Repubblica. Peccato mortale. Ebbene sì, davo per scontato di essere considerato utile: nell’insegnamento e nelle ricerche che volevo fare sulla rivolta dei commercianti e degli imprenditori. Mi ero perfino offerto come supplente. Roba da poche migliaia di euro all’anno. E, per me, roba da perderci economicamente. Niente. Secondo. Da sottosegretario ho accettato l’invito di un giovane illuso che mi aveva chiesto di presentare “Le Ribelli” a una festa di Addio Pizzo. Ma Addio Pizzo decise che no, ero un politico. In genere dei membri di governo si dice che rappresentano le istituzioni. Per me no. In più ero un familiare di vittima che raccontava storie di altre vittime. Niente. Credo sia stato l’unico caso di un’associazione antimafia che non consente a un familiare la presentazione di un libro sulle storie di altri familiari. Terzo. E ora le primarie. Io non “volevo candidarmi a Palermo”, come dice Cracolici. A me è stato chiesto di farlo; e io stupidamente ho pensato ancora una volta che il mio contributo potesse essere gradito. Ora ho capito di no. Francamente non sono in grado di misurare le responsabilità di Cracolici e di Mattarella. Il risultato è stata un’altra porta sbattuta in faccia mentre pensavo di fare qualcosa di utile. Il bello è che in tutti e tre i casi potreste sentire dire a Palermo che non è vero nulla, che quando mai, che mi sto inventando tutto, che faccio la vittima, che c’è stato un equivoco. Intendiamoci, io sono sereno. Preparo come un esordiente la festazza dei 60; e ieri a lezione ho avuto una tale soddisfazione dagli interventi dei miei studenti che ho dimenticato praticamente tutto.
Però aggirarsi in questa atmosfera pirandelliana dove ognuno recita più parti in commedia, però capire che la “tua” Sicilia non ti vuole, non quella dei complici, ma la “tua”, un po’ di magone dentro te lo mette. Tornarci ancora? Direi di no. W la festazza.
Nando
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