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Il Padrino accoglie i viaggiatori a Milano
Il fatto quotidiano, 11 novembre 2009
Benvenuti in terra di mafia, viaggiatori di tutto il mondo. Benvenuti alla stazione centrale di Milano, qui di fronte agli eleganti marciapiedi su cui scendono i pregiati clienti della Freccia rossa. Ammirate nel cuore della grande architettura fascista questo superbo quadrilatero. Sei-sette metri per lato, un trionfo goloso da strapaese sormontato ovunque dalla parola che ci ha resi famosi nel mondo: “Il padrino”. Perché questa è la ragione sociale dell’azienda che dà oggi il suo marchio a Milano. Cannoli e cassate, signore e signori. E poi torroni e arancini, e carretti siciliani. E non dimenticatelo mai, anche se ogni tanto ci offendiamo che lo scriviate: noi siamo questo, la terra del padrino. E se non ce lo fanno più dire apertamente a Palermo o a Catania, lo diciamo noi da qui, dalla capitale della Lombardia.
A volte le coincidenze simboliche hanno qualcosa di terribile e di feroce. Così il fatto che alla stazione centrale di Milano, tra lavori in corso ed enormi pannelli di rivestimento, brilli in solitudine il simbolo della mafia proprio nei giorni in cui i clan hanno ucciso per strada un imprenditore edile ben ammanicato con le amministrazioni della provincia, ha qualcosa di involontariamente sinistro. Di profetico perfino.
E di sconcio. Non solo per il gusto chiassoso, da fiera di provincia, gettato su un luogo che cerca da anni un decoro estetico europeo. Ma perché quel nome che evoca tanto naturalmente la mafia e la sua cultura è una vergogna civile. Per capirsi: che cosa succederebbe se domani in stazione o in piazza Duomo aprisse un bar intitolato “Alle Brigate Rosse”? Forse che tutte le autorità, tutti i giornali, tutti gli intellettuali, non correrebbero come un sol uomo a invocarne la chiusura immediata e la altrettanto immediata punizione di chi avesse autorizzato quella insegna? Certo, alcuni possono ridere sulla mafia, e raccontare su di lei e sulle sue imprese barzellette amene. Ma c’è un tabù morale che poi ne proibisce il racconto in pubblico.
E dunque diventa decisivo capire come la città possa tollerare questo inno alla cultura mafiosa quando ha in piazza Diaz un monumento al Carabiniere intitolato al generale dalla Chiesa, quando ha una scuola media intitolata a Falcone e Borsellino e una scuola intitolata a Emmanuela Setti Carraro. Quando vede migliaia di suoi studenti impegnati nella cosiddetta “educazione alla legalità”, nutrita – così si insegna loro – di dettagli e di piccole cose quotidiane. Bisognerebbe capire come si sentono i carabinieri e i poliziotti in servizio alla stazione a passare accanto alla “innocente” pubblicità del Padrino e a pensare magari a quanti dei loro colleghi sono stati falciati o fatti a brandelli dal Padrino di Corleone o dal Padrino di Ciaculli o dal Padrino di Resuttana.
So per certo che al Comune di Milano sono molti, a partire dal sindaco, che non hanno simpatia alcuna per i mafiosi e i loro simboli. So che c’è un prefetto che ha le carte in regola per non essere sospettato della minima debolezza. Intervengano dunque loro con ogni energia per rimuovere questo insulto alla memoria degli eroi del paese, a chi rischia ogni giorno contro i tanti padrini che impartiscono ordini di morte nelle più diverse lande del paese. L’ambiguità giuliva non è più consentita a nessuno. E per finire: così come io sto firmando questo articolo, vorrei tanto sapere chi ha firmato l’autorizzazione di questo sconcio che sfregia l’immagine di Milano e dell’Italia.
Nando
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