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Ma c’è anche il Lodo buono
Già, perché non tutti i “lodi” sono uguali. C’è il lodo Alfano, che chissà mai perché si chiama “lodo” visto che non è per nulla un arbitrato (come vorrebbe il dizionario) ma è solo un’imposizione del più forte, una violenza alla Costituzione. E c’è il “Lodo” Isolabella che ha invece un’origine chiara e legittima, nel senso che è il nome abbreviato di Lodovico Isolabella, principe del foro milanese. Il quale domani riceverà al palazzo di giustizia i dovuti onori per avere raggiunto i cinquant’anni di attività. E’ un avvocato atipico, Isolabella. Monarchico, vulcanico, coltissimo, passionale e democratico. Sì, in lui monarchia fa rima, come in tanti paesi del nord, con democrazia. E lo posso testimoniare. Negli anni ottanta, come direttore di Società civile, fui trascinato in giudizio da Alfio Caruso del Corriere, con cui avevo duramente polemizzato perché teneva sotto tiro i giudici palermitani (Falcone in testa). Isolabella mi vide in una trasmissione televisiva attaccato da Caruso e da Giuliano Ferrara e decise subito di difendermi gratuitamente. E lo fece con uno slancio e una generosità, e un puntiglio giuridico, che mi affascinarono. Lo stesso fece qualche anno dopo nel processo che mi oppose a Umberto Bossi, che avevo querelato per quel suo vezzo beffardo e ribaldo di chiamarmi “Nando dalla Cosa Nostra”. Bossi fu salvato dalla Camera (scambio di favori con un leader Pds) ma Isolabella non si arrese. E, un’eccezione giuridica dopo l’altra, tenne Bossi sulla corda per più anni, con una tenacia che non ebbi neanche io. Alla fine vinse il potere politico, in modo giuridicamente spudorato. Ma, appunto, dovette mostrare la faccia.
Il “Lodo” ha fatto tutto questo gratis per due volte (e poi di nuovo lo ha fatto il suo studio quando da consigliere comunale denunciai casi di corruzione o di opacità nella giunta leghista). Credo che la scelta abbia qualcosa a che fare con il cognome che difendeva e la materia sulla quale lo difendeva. E me lo conferma il fatto che abbia poi voluto nel suo studio Umberto Ambrosoli.
Ora che arriva ai cinquanta di professione, prima che gli battano le mani domani mattina, gli giunga questo augurio da chi probabilmente non è mai riuscito a esprimergli fino in fondo la sua riconoscenza.
P.S. Lo so che vi aspettate che vi parli di B., di Tartaglia e dei toni da abbassare. E delle dimissioni genovesi. Lo farò, lo farò…
Nando
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