Il tappo di Genova. Con coda pugliese

Ahi Genova del mio cuore! Tu pensi a lei, città intrigante e tollerante. Realizzi che ti dispiacerebbe doverla lasciare, vorresti ascoltare le sirene di don Gallo e delle tante associazioni che ti chiedono di restare a lavorare sui diritti, rivedi alcuni cieli tersi del primo mattino e decidi di dimenticare le piogge infinite (pare che pioverà anche la notte di Capodanno…). Dopodiché…Dopodiché ti arrivano addosso certi dettagli che ti fanno inciprignire (verbo imparato sulle cronache calcistiche del leggendario Gianni Brera). Il primo è proprio un dettaglio. Un ottimo giornalista della redazione genovese di “Repubblica”, Marco Preve, apre un dibattito sul suo sito su quel che mi è accaduto con la premiata farmacia Pescetto (vedi tre post sotto). Tale signor Cesare, intervenendo in difesa della farmacia, dice che d’altronde si tratta di commercianti (i farmacisti sono commercianti? non lo sapevo, aboliscano il loro ordine, allora). E che sono io il vero colpevole, io che non ho titolo per parlare visto quello che ho fatto a Genova (lo ammetto: rubavo i cappotti ai senza casa per fargli prendere freddo). Io che faccio tanta demagogia (ovvero: racconto quel che mi è capitato e poi faccio pure gli auguri di Natale al mio “benefattore”). Io che non si capisce chi mi credo di essere (già, perché non mi lascio trattare male stando buono e muto? manco avessi detto “lei non sa chi sono io”, come nota Pielle e la ringrazio). Io che non apprezzo una farmacia che invece il Sig. Cesare sa che è sempre molto gentile, anche con gli immigrati (ma va’, chi avrebbe pensato il contrario?). Ma questi sono minidettagli, meritevoli di essere riportati solo perché la cronaca del fatto sarebbe incompleta e anche per dare a Cesare quel che è di Cesare (e glielo si dà appena si leggono tre righe).

Ma non è un dettaglio che io sia stato raggiunto oggi da uno scrupoloso redattore del Secolo XIX, per riportarmi la lamentela di qualche rappresentante degli albergatori. Il quale se la prende con il Comune perché gli alberghi cittadini per Capodanno non scoppiano di prenotazioni. Sono gli stessi albergatori che l’anno scorso gridarono che il Comune aveva fatto un programma di Capodanno di basso profilo (già: soltanto Jovanotti -prima del suo ritiro per un anno- e l’apertura della mostra di De André, il miglior capodanno d’Italia) e poi riempirono le stanze al 90-100 %. Ma io dico: ma esiste una città, una sola grande città dove se non si riempiono gli alberghi si dà la colpa al Comune, visto che un sacco di comuni per Capodanno non fanno niente, e soprattutto visto (non lo sapete, carini?) che è in corso una delle crisi economiche più mordaci del dopoguerra e che c’è quella cosa chiamata maltempo, neve, pioggia e gelo? Questo non è mugugno. Questo è una marmellata di mugugno e di assistenzialismo. Genova può fare il salto, ve lo giuro, verso il suo rinascimento. Ma ha un tappo addosso: la mentalità ereditata dal passato delle partecipazioni statali, quando, per dirne una, alcuni alberghi chiudevano la domenica perché bastava chi veniva in città per l’Ansaldo, l’Italsider ecc.

Il tappo blocca tutto. Epperò, fatemelo dire, se Genova non sta bene, la Puglia non ride nemmeno lei. Ma perché farsi del male così? Per quanto vogliamo continuare? Vendola-Emiliano…Non ho parole. Solo quelle del mio amico Salvatore Grillo: il calice amaro va bevuto fino in fondo. Chissà quando arriva il fondo…

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