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Il libraio Italo che vende tutto lo scibile umano
(Il Fatto quotidiano, 10 gennaio 2010)
I carboni ardenti. Poche persone al mondo ti danno l’impressione di camminarci sopra come lui. Mai sedersi, mai fermarsi. Anche se Italo Cossavella fa il libraio, un mestiere che agli occhi del pubblico vuol dire tempi riflessivi, contemplazione di scaffali o di cataloghi. La libreria sta nel centro di Ivrea, in via Cavour, una salita a cinquanta metri dal municipio. All’ingresso scordatevi pure le pile da trincea che annunciano in trionfi verticali l’uscita dei libri di successo. Qui la scelta è precisa e contromano: non scendere mai al di sotto dei sessantamila titoli. “Vivo in una cittadina di venticinquemila abitanti. Per fare bene il mio lavoro devo servire tutta la gente che viene da fuori. Chi arriva qui deve sapere che ci trova l’intero scibile umano. Anche chi si mette in testa di allevare una capra deve trovare quello che gli serve. In provincia bisogna essere tuttologi. Io non voglio mandare mai via nessuno senza risposta. Il libro devo averlo. Punto. E se non ce l’ho devo dire quando lo darò e a che prezzo. Mai ‘scriva alla casa editrice’ o ‘non è più in catalogo’. Ma siamo matti? Fuori catalogo purtroppo ci sono libri bellissimi, che possono incidere sulla formazione di un giovane o arricchire la cultura di una persona adulta. Io cerco di averli lo stesso. E grazie alla rete ci si può riuscire. Mi metto al computer e vedo che cosa c’è sui remainders o tra i colleghi che fanno antiquariato. Guardi, proprio l’altro giorno ho venduto un Todorov di Garzanti, Memorie del male tentazione del bene. Fuori catalogo ma l’avevo. Lo stesso con Bataille, La letteratura e il male.
Sa, mi sto prendendo una soddisfazione enorme. E’ uscito uno splendido volumetto delle edizioni dell’Asino che indica tutti i libri che dovrebbe leggere un ventenne. Dai grandi maestri all’arte, dall’economia alla storia, fino a Capitini, Fanon e Simone Weil. Io lo sto regalando ai miei collaboratori. Con orgoglio. E sa perché? Perché io il novanta per cento di quei titoli io ce l’ho in libreria”.
I collaboratori. Sono sette o otto quelli che si muovono con competenza qui dentro, costretti anche loro a sentirsi a tempo pieno sui carboni ardenti. Soprattutto donne: Cristina, Simonetta, Elena…Nomi che si inseguono nell’organizzazione del lavoro quotidiano. Nato nel 1968 quando Guido Cossavella, il padre di Italo, piantò il suo lavoro di rappresentante di prodotti alimentari e rilevò una cartoleria. Da lì alla libreria il passo fu breve. Italo nel frattempo studiava, prendeva il diploma classico e poi la laurea in lettere a Torino, tesi su Tommaso Landolfi. Per qualche anno un occhio ai libri e un altro all’organizzazione di concerti rock e alla gestione di locali notturni. Passioni di gioventù. Di cui è rimasta traccia nell’interesse per tutte le forme di espressione giovanili. “I giovani? Sono molto meglio di come se li rappresentano molti miei coetanei. Noi cinquantenni rischiamo di lasciargli un mondo di merda, ma loro leggono e studiano più di noi. Qui vengono, affollano i nostri dibattiti, stanno seduti fino all’ultimo. Ma gli manca chi offra loro una visione organizzata della cultura. Parliamoci chiaro. Le Descrizioni di Pasolini sono uno dei più begli esempi di critica letteraria mai visti. Due anni di recensioni su Paese Sera. Ma chi glielo dice ai ragazzi? Soffriamo tre tradimenti. Quello della televisione, quello delle università, quello dei giornali. Chi cresce deve potere addentrarsi con consapevolezza nella grande storia della cultura. E invece si smarrisce in una nuvola di frantumi. Per questo io non organizzo la libreria per case editrici, ma per settori. E voglio che nei settori ci sia tutto quello che è utile. Fino al limite estremo, quello in cui gli scaffali sembrano scoppiare. Perché se c’è la filosofia ci dev’essere tutta la filosofia che conta. E la letteratura russa pure. Si può restare senza Solgenitsin solo perché ora Arcipelago Gulag non va più di moda politicamente? E l’antropologia?”.
Basta la parola e gli brillano gli occhi. In effetti l’antropologia è uno dei fiori all’occhiello della libreria. “Sì, abbiamo organizzato in dicembre una tre giorni, quasi un festival dell’antropologia con ventidue ospiti, otto sono venuti dall’estero. Al centro culturale della Serra, due spazi da centoventi e trecentocinquanta posti, a seconda degli eventi. Pieni, con i ragazzi che se ne tornavano al loro paese con gli zaini solo la domenica sera, quando non c’era più una parola da ascoltare. Avremmo fatto il tutto esaurito anche se avessimo parlato della formazione degli uomini sul lago Titicaca. Ma abbiamo organizzato anche “Hispanica”. Qui per la cultura spagnola abbiamo un interesse particolare. Rassegne su Baltasar Graciàn, filosofo barocco. O sui poeti degli anni trenta, da Lorca ad Alberti, e le foto di Capa. Con ragazzi, “Principio di virtù” si chiamano, che alternavano la loro musica antica alla lettura dei brani. E’ stato bellissimo. Comunque, non solo letteratura. Siamo molto forti pure nella scolastica e nell’editoria giuridica; e siamo la prima o la seconda libreria del Piemonte nell’editoria informatica”.
“Lo so, sono momenti difficili, soprattutto per le librerie indipendenti, ormai le grandi catene sembra che si clonino. Ma guai a mollare. Abbiamo anche la responsabilità di conservare questo patrimonio eccezionale, tipicamente italiano, che è la piccola editoria indipendente. Se non ci siamo noi va a picco anche quella. E non concordo con chi ammaina le vele dicendo che è cambiato tutto. Perché è vero che ormai siamo sommersi dalle novità e che molta è robaccia. Ma vuol mettere il godimento ad aprire gli scatoloni? Questo è il più bel mestiere del mondo. Lo so, a Ivrea beneficio del clima realizzato da Adriano Olivetti, l’humus mi aiuta, ma questo dimostra anche che per avere cultura bisogna seminarla. E per farlo non basta invitare, come pure facciamo, Vattimo o Zecchi, Bettiza o Gramellini, Ettore Mo o Caselli. Bisogna offrire un’idea organica di cultura, collegarsi con le biblioteche, fare rete, noi lo facciamo con la Valle d’Aosta”. Parlerebbe ore, Italo, segnalando alle sue collaboratrici quell’Adelphi, quel rarissimo Huizinga, quel vecchio saggio sulla banda della Magliana. O descrivendo la sala che sta ricavando al piano di sotto per le presentazioni, con annesso spazio per bambini. Si inebria di progetti, il libraio che ama Fenoglio e Conrad. Il suo più grande sogno? “Un festival dei reporter di guerra. E’ un genere che sta sparendo, ma le guerre non spariscono…”
Nando
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