OGNI GIORNO PER 36 ANNI. Ha perso la moglie in piazza della Loggia, continua a lottare per la verità

(Il fatto quotidiano, 17 gennaio 2010)

Durò tre giorni. Per tre lunghi e incredibili giorni la città di Brescia venne presidiata dai suoi cittadini. Come in una repubblica autonoma, furono i servizi d’ordine dei sindacati, dei partiti, delle associazioni, ad autogestire e controllare le piazze, a regolare tutte le entrate in città. Con seicentomila infiniti manifestanti a farsi massa in difesa della democrazia. Per difendere le istituzioni repubblicane mentre i loro rappresentanti venivano fischiati senza pietà. Era appena esplosa la bomba. Messa in un cestino dei rifiuti per colpire chi si era riunito in piazza della Loggia, quel 28 maggio, a difendere la Costituzione aggredita dallo stragismo nero. Mentre il terrorismo rosso alzava la testa. E con il potere della Dc appena messo sotto schiaffo dal voto del referendum sul divorzio. Il comizio, il boato, le urla di terrore e di rabbia sgomenta, quella disperata bestemmia arrivata dal palco, i morti per terra. Otto. E quasi cento feriti. Questo sentì e vide l’Italia del 1974. Lui sentì e vide più da vicino. Sotto i suoi occhi morì Lidia, la sua giovane moglie. Più alcuni amici. Manlio Milani, allora trentaseienne, ha avuto il destino segnato da quella che chiamiamo, ormai con qualche freddezza, la strategia del terrore.


Per la stampa quelli come lui esistono, se va bene, solo negli anniversari. Quando plotoni di autorità con fascia tricolore sostano compunti davanti a una targa. E invece quelli come lui esistono e danno battaglia tutti i giorni. Lo sa bene l’Italia civile che li cerca ripetutamente per chiedere testimonianze e memoria. E si chiama proprio Casa della Memoria l’ente che Manlio presiede a Brescia. Promosso da comune, provincia e dall’Associazione  dei familiari dei caduti della strage di Brescia, di cui pure è presidente. “Sì, proprio caduti; e non vittime. Perché morirono su un campo di battaglia, quello della democrazia, che avevano scelto consapevolmente e che ne fece un bersaglio dei terroristi. Ricordiamolo sempre: la bomba voleva colpire non qualcuno a caso, ma proprio i manifestanti di quella mattina. Noi vogliamo raccontare gli anni settanta, che quasi nessuno racconta, sapendo che non c’è una verità per quel tempo. Ma che ce ne sono tante, e che è il loro accostamento che aiuta a ricomporre la storia. Perciò promuoviamo incontri nelle scuole e con la cittadinanza. Guarda qui l’agenda, abbiamo un’attività intensissima. Solo in queste settimane: è appena partito un ciclo di tre incontri sulla Costituzione, con la testimonianza di Marco Alessandrini, il figlio del giudice ucciso dai terroristi di Prima Linea; il 9 febbraio Benedetta Tobagi presenterà il suo libro con Mario Calabresi e Mino Martinazzoli, poi verrà Umberto Ambrosoli con il suo ‘Qualunque cosa succeda’, quindi Turone e Simoni con il loro libro sulla vicenda Sindona. E anche proiezione di documentari e di film, come ‘Le vittime’ di Rai Cinema della Gagliardo o ‘La prima Linea’ di De Maria. Verrà anche Nicola Rao del Tg2 con il suo ‘Il piombo e la celtica’. Noi vogliamo dare spazio a tutti. Vogliamo che non dimentichino gli adulti e soprattutto che sappiano i giovani. Ogni anno è dedicato a questo obiettivo. Così il prossimo 28 maggio il liceo artistico produrrà in piazza alcune sue realizzazioni a ricordo della strage e nelle scuole si raccoglieranno i temi più belli”.

Nessuno alzi le spalle. Quel che dall’esterno può apparire rituale (la scuole, la memoria, i buoni principi della democrazia), per Manlio e i suoi amici è fatica, tenacia, confronto ostinato con le burocrazie. Anche umiliazione inconfessabile. Ma è lotta, prima di tutto. Lotta a distanza con quella bomba. Lidia, la sua Lidia, certo. Ma anche altro. Il padre operaio mille mestieri, la madre a dare una mano con lavori saltuari nonostante i cinque figli da tirar su; e lui comunista, prima operaio poi impiegato nell’Asm, la vecchia azienda dei servizi municipali bresciani, sindacalista sempre in prima fila, una quinta elementare elevata da una licenza media presa con le 150 ore: non era forse lui la più perfetta rappresentazione dell’Italia che i terroristi neri volevano colpire?  Forse anche per questo, nonostante abbia superato i settanta non molla, prova ad arare la cultura civica della sua città, prende treni verso il Veneto o il Trentino (“attivissimo”) o le altre città della Lombardia, verso l’Emilia o la Liguria, per portare la sua testimonianza. Arriva con i suoi giacconi o montgomery blu, lo sguardo azzurro mite, dice le sue parole senza enfasi -non chiedetegli mai di fare il demagogo…- e riparte. Non può perdere tempo.

Perché per quanto possa sembrare incredibile a Brescia è tuttora aperto il processo per la strage. E’ nato dalla quinta istruttoria, avviata nel ’93. Un processo pazzesco, come tutti quelli delle stragi nere. Condanne ballerine, cambio di imputati fuori uno dentro l’altro, assoluzioni per insufficienza di prove, e quel Buzzi, condannato nel ’79, spedito contro sua volontà al carcere di Novara, dove i terroristi neri  Tuti e Concutelli non aspettavano altro per sgozzarlo. Già riascoltare quella storia è un viaggio negli abissi della nostra giustizia. Manlio Milani ci è infilato dentro da trentacinque anni. Anzi, oggi è lui il frequentatore più abituale del dibattimento. Gabbie vuote infatti, gli imputati sono sempre assenti. Tra loro Pino Rauti e il generale dei carabinieri Delfino, proprio colui che allora, da capitano, avviò le indagini. “Lo vogliamo informatizzare tutto, il processo. Come abbiamo fatto anche con gli atti di piazza Fontana o della stazione di Bologna o della questura di Milano. La prima istruttoria, un milione di pagine, è costato 45.000 euro. Ora questo dibattimento lo filmiamo e lo registriamo. E sai come lo stiamo facendo? Grazie a una serissima cooperativa di detenuti del carcere di Cremona, la segue un magistrato, Giampaolo Beluzzi. E’ un lavoro immenso, che servirà a tanti. Comunque lo so, per quanto mi batta, non pensare che io non lo sappia: quella bomba ha cambiato la mia vita. Mi pesa l’impunità, soprattutto. Vedi, una notte ho sognato che discutevo con alcuni amici di quello che avrei fatto il giorno dopo. Poi d’improvviso è comparsa Lidia, con una valigia in mano. Sembrava che volesse dirmi che è partita e che è ancora in viaggio, lei come gli altri amici. Vagano alla ricerca di un luogo dove riposarsi, ma quel luogo si chiama giustizia. Lo vuoi sapere? Io mi sento un cittadino di serie B, perché mi hanno tolto anche il diritto alla riconciliazione. Con chi mi riconcilio se non so ancora la verità?”

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