Si vive meglio con un gelato al limon

il Fatto Quotidiano, 31.01.2010

C’era una volta. Quando gli avvocati napoletani arrivavano a Milano come alla Mecca. Ottimi clienti, ottime parcelle, e spesso, davanti a loro, magistrati napoletani diplomati alle stesse scuole e laureati alla stessa università, la Federico II. La fama di città aperta e accogliente Milano se la fece anche così. Ospitando generosamente questa classe forense e promuovendola a classe dirigente. Ma oggi forse l’incantesimo si è rotto. A dare l’avviso è un grande cono gelato che campeggia su una via di Parigi. Un cono in vetroresina in Rive Levis. E’ lui il simbolo del cambio d’epoca. Il nuovo futuro di uno di quegli avvocati. Partenza da Napoli una ventina di anni fa, brillante carriera a Milano, asfissia da clima metropolitano lombardo, fuga in Francia. A fare l’imprenditore. Gelaterie, appunto.

Michele Del Buono. Si chiama così l’inquieto e intraprendente legale, figlio d’arte di un padre civilista. Un nome di fantasia, perché un bel po’ di clienti, ignari della sua scelta, se li deve ancora curare. Clienti importanti che non vuole tradire offuscando la sua immagine a Palazzo di giustizia, e trasformandosi agli occhi di giudici e controparti in un ex senza più nerbo né motivazioni. Michele, dunque. E’ un tipo dallo sguardo arguto, l’accento che ancora sa di Vesuvio, una vivace cultura umanistica (Montale, Boll e Màrquez in cima ai gusti) che mal si concilia con l’aria che tira dalla provincia padana. Una famiglia giovane che lo segue con entusiasmo in questa nuova scelta. “Francamente non ce la facevo più. Io non ho conosciuto la Milano del boom, e nemmeno quella da bere. Dunque paragoni non ne posso fare. So però che cosa mi aspettavo, io che venivo da una città come Napoli, così priva di rispetto per l’interesse pubblico, dove quel che non è di nessuno può andare tranquillamente in malora. Diciamo subito che venendo da brutte terre non sono mai stato neanche sfiorato dall’idea di dedicarmi al penale. Così mi sono occupato di diritto societario. Aziende, economia, patrimoni. Ecco, io li ho visti per lavoro i patrimoni, le ricchezze che ci sono a Milano. Per questo mi viene il magone quando passo vicino a una grande aiuola in questa o quella piazza e vedo la fatidica targa ‘questo verde è curato da’ con il nome del benefattore lasciato in bianco per la semplice ragione che il benefattore non c’è. A volte mi viene voglia di essere ricco io per gridare ‘ve lo curo io il verde’, sissignori, anche se non sono milanese. Vede, quel che mi ha impressionato  è proprio la mancanza di generosità, queste aiuole che sembrano personaggi in cerca d’autore. Mi colpisce questa mancanza di interesse per la cosa pubblica in una città ricca. E a volte assurdamente miope. Guardi l’inquinamento, per esempio. E’ arrivato a livelli insopportabili, i bambini sono tutti malati, hanno la bronchite e mica per il freddo. Ma non si insorge, lo si accetta. Nemmeno la tentazione della grandezza c’è. A Parigi fanno un quartiere nuovo e nasce la Defence, a Milano lo fanno e ti trovi la Bicocca. Intendiamoci, Milano è una città operosa, qui è vero che si lavora sodo. Ma io mi sono stufato di dovere frequentare tanti furbastri, approssimativi, millantatori, quelli che pensano che la giustizia è cosa per gli altri. E infatti proprio non sono riuscito a trasferire nella mia vita privata le frequentazioni del lavoro”.

Eccola l’idea galeotta che l’epoca del rancore sta facendo serpeggiare tra i giovani milanesi: facciamo due città, una per le persone educate e gentili, una per i villani e gli astiosi; perché migliorare la vita dei cialtroni e farcela peggiorare noi da loro? “Basta con le baggianate e le buffonate”, sbotta Michele, “non si può giudicare un giovane e geniale avvocato, come ho visto fare io, dai calzini bianchi corti. Basta con una società dove anche se fai il tuo dovere c’è sempre qualcuno che ti può prendere in castagna e poi chiederti un ‘aggiustamento’. A Parigi ci hanno spiegato che con le misure della nostra insegna stavamo infrangendo le norme, ci hanno dato venti giorni per metterci in regola, dopo venti giorni sono tornati e hanno verificato tutto senza chiedere nulla. Ce l’ha presente quel libro scritto da un giornalista ‘Io volevo solo fare la pizza’? La storia di uno che nell’inutile tentativo di aprire una pizzeria al taglio ha buttato via due anni e duecentomila euro? Ecco, Parigi è un altro mondo. Ci sono entrato mettendomi in società con un amico di Milano e un’amica di Torino. E ora parto per Londra, vado a incontrare degli amici italiani che hanno lavorato ad Harvard e hanno idee simili alle nostre. Ci crede che siamo già alla terza gelateria, più una estiva sul lungosenna? Abbiamo due punti di forza. Il gianduia e la parola d’ordine ‘gelato a volontà’, visto che a Parigi il gelato lo fanno pagare a palle, sa, quelle che si fanno con l’aggeggino…Deve vedere il clima bellissimo che si è creato. Ma lo sa che nell’arco dell’anno diamo lavoro a una cinquantina di persone? Siamo diventati il rifugio degli italiani che fanno master a Parigi. Il laureato in medicina di Cagliari, l’informatico di non ricordo dove, anche un normalista cubano, insomma si è sparsa la voce e siamo diventati la gelateria con la più alta concentrazione di laureati d’Europa”.

Un futuro a forma di cono gelato, dunque? “Be’, non solo. Stiamo cercando di entrare anche nell’energia alternativa, nel fotovoltaico, abbiamo già realizzato tre impianti a impatto ambientale zero, da mettere sui tetti degli stabilimenti industriali. Diciamo che voglio costruirmi un futuro tra le persone e negli ambienti in cui sto bene. Lo so che questo può diventare un cedimento agli imbroglioni, agli zotici senza cultura, che magari ne approfitteranno perché se tutti decidiamo di stare fra di noi alla fine comanderanno loro. Ma non è detto. Perché se mi devo muovere un rimprovero, in realtà ne ho un altro. E riguarda la mia generazione. Che non ha voluto occuparsi di politica, che non ne ha mai fatta o quasi. E oggi la stiamo pagando. A Milano e non solo a Milano”. L’avvocato non si pente. Uscire dalla cerchia delle ipocrisie e delle furberie senza fine (“con gli esempi che vengono dall’alto, poi…”) non gli dispiace affatto. I gelati e l’energia solare sono la sua utopia. Ma un filo di malinconia, quello certo che si sente. Forse se le targhe delle aiuole milanesi avessero tutte un benefattore, forse se questo fosse una paese dove si può aprire una pizzeria, forse se la legge non fosse a misura solo dei furbi, lui, avvocato di successo, ci avrebbe pensato un po’ di più.

Leave a Reply

Next ArticleCiancimino jr, gli insegnanti milanesi e Tyson il ballerino