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Il professore di lettere De Santis, un intellettuale atipico a Rovigo
il Fatto Quotidiano
28 febbraio 2010
Prendi l’autoritratto di Van Gogh e mettilo in cattedra. E avrai lui, il professor Beppe De Santis intellettuale atipico del delta del Po. Gli stessi occhi di fiamma. Perché il professore sta da una vita sul grande delta che tutto ingoia e riversa in mare, senza avere perso un grammo di passione. Solo modificando lentamente le sue sembianze come nei giochi da computer. Dal volto ieratico di un Cristo meridionale a quello scavato e febbrile del genio olandese. Arrivò ad Adria alla fine del classico giro di supplenze dopo la laurea in lettere all’università di Bologna. E non se ne è più andato. Istituto tecnico commerciale e per geometri “G. Maddalena”. Sul Po ha messo le tende. Anzi ci ha costruito la casa, che da bravo figlio di contadini abruzzesi -Portocannone, provincia di Campobasso- si è fatto letteralmente da solo con le proprie mani. Roba da annichilire per l’invidia qualunque intellettuale di città. Due piani con abbondanza di legno e giardino a Bosco Mesola, quaranta chilometri dalla scuola. Dove vive, come dice lui, “tra l’infinito variare dei grigi e delle luci”.
Quel che si fa nella placida provincia di Rovigo passa spesso dalle sue mani e dalle sue idee perseguite con metodo giansenista. Il romanzo, la letteratura, la questione morale, da qualche anno anche la canzone d’autore e il teatro. Insegnare lettere in un istituto tecnico di provincia non gli ha mai fatto abbassare la mira. Anzi, è stata la sua grande sfida. Tanto che uno dei primi ospiti che procurò alla scuola fu un gigante del pensiero filosofico come Ludovico Geymonat. Al quale, per parlare di letteratura, hanno fatto seguito Franco Loi, Salvatore Guglielmino, Dacia Maraini o Vincenzo Consolo. Così come è convinto che anche nel Veneto tutto imbozzolato nelle sue ricchezze sia possibile portare di peso i temi dell’etica pubblica e della legalità. Tanto che la sua scuola fu tra le prime in cui Antonino Caponnetto volle riparare a quel soffio di frase (“è finita”) che gli scappò dal cuore dopo le due stragi in cui gli uccisero i figli putativi “Paolo e Giovanni”. Ho sbagliato, bisogna continuare a lottare, disse ad Adria il grande magistrato. E poi Gherardo Colombo o Rita Borsellino. Il professore macina da allora insieme ad alcuni colleghi incontri, letture, spettacoli. Da Elisa Springer a Claudio Lolli, da Moni Ovadia a Marco Paolini, da Gianni Mura ai figli di Guareschi o alla figlia di Bassani. Esperienze, culture, memoria. Parla ai suoi studenti con la voce e lo sguardo di un predicatore. E loro lo ascoltano disciplinati, catturati dalla sua passione. “L’insegnante dev’essere un capo”, dice. “Deve sapersi fare rispettare e deve guidare, deve capire subito se lo studente gli dice una bugia. Qui l’ambiente non è il massimo per formare una coscienza critica e civica, ma ce la possiamo fare. Questo è il lavoro più bello del mondo. Possono fare i tagli ma noi continueremo a inventare la cultura in nuove forme. Vede, noi in casa abbiamo due stipendi. Il mio e quello di mia moglie che fa la bibliotecaria a Mesola. Non navighiamo nell’oro, però i soldi mi sono sempre bastati. E mantengo una figlia fuori all’università e un altro figlio presto ci andrà. Sa a me che cosa basta? Permettermi una volta ogni tre mesi una cena di pesce sopra il mare e potermi fare un viaggio di tre-quattro giorni all’anno. Io sto bene così. Mi sento un uomo delle istituzioni e voglio continuare a servirle, nonostante quello che accade. E anche se non trovo una grande disponibilità a darmi una mano. Pochi, splendidi colleghi. Per il resto sa che cosa mi fa star male davvero? L’indifferenza. L’indifferenza della provincia”.
Scrive pure libri il professore che non fa solo professore. Si cimenta da romanziere tradendo amore incontenibile per Gadda e per Manzoni. Ne ha scritti due di romanzi, l’ultimo si intitola Il cacciatore di talpe, pubblicato da ABao AQu , la casa editrice che ha fondato, distribuzione in Veneto ed Emilia. Aveva anche fondato un “Quadernetto” che poi le angustie finanziarie della scuola gli hanno fatto chiudere. Che si era meritato lettere di complimenti di Zanzotto e Rigoni Stern. Su cui avevano scritto anche Erri De Luca e Loriano Macchiavelli e che aveva pubblicato in prima assoluta La masseria delle allodole di Antonia Arslan, da cui è stato tratto il film dei fratelli Taviani sul genocidio degli armeni, una causa allora misconosciuta e che De Santis ha sposato con ardore.
Da un po’ di tempo il professore si è dato ai recital teatrali con la moglie e alcuni amici. Ha ripreso la chitarra che suonava da ragazzo. Due anni di spettacoli e canzoni di De André. Oggi , dopo l’esordio al Chiostro di San Paolo di Ferrara, porta per i teatri della provincia “Io, G.G…e il professore”, reinterpretazione del repertorio di Gaber. Nel frattempo organizza eventi culturali extrascolastici o tiene lezioni su Dante nella biblioteca comunale. Perennemente polemico con le forze politiche locali, che tratta alternativamente con ironia o indignazione, vorrebbe vedere entrare la questione morale nelle ansie e nelle priorità di chi guida i partiti nella sua zona . Anche per questo alcuni anni fa ha promosso proprio lì, tra gli specchi d’acqua popolati di anguille, un seminario itinerante sulla mafia e sulla malavita, con Nichi Vendola e Giancarlo Caselli, Alfonso Sabella, Armando Spataro e Gianni Barbacetto. Tutto esaurito. Gli succede spesso. Eppure anche quando è felice gli si indovina dietro gli occhi di fiamma il senso di una missione incompiuta. Il rimpianto di non riuscire a cambiare il mondo.
Nando
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