Isa Mantella

il Fatto Quotidiano
7 marzo 2010

“La foto no, quella se la dimentichi. Anzi, se posso essere sincera, questo incontro mi fa piacere ma un poco mi imbarazza”. Niente foto, dunque. Nell’Italia dove per andare sui giornali si passerebbe sopra la mamma, questa signora minuta e matura con occhiali e capelli a caschetto, le piccole rughe lasciate da cento buone battaglie, appare quasi una marziana. Si chiama Isa Mantella e a Catanzaro è uno dei buoni volti della quotidianità cittadina. Per la dedizione alla professione, per la passione politica. Ma soprattutto per l’impegno a testa bassa nel volontariato.

In effetti di cose ne ha pensate e fondate tante. Ha la tempra di chi, se glielo permettessero, rifarebbe la società da cima a fondo. Catanzarese di nascita, la laurea in medicina l’ha presa a Firenze. Militanza in Lotta continua  e collaborazione con il celebre quotidiano del gruppo. Una voglia di giornalismo repressa da Enzo Piperno che le ingiunse di tornare in Calabria a fare lavoro politico, come si diceva ai tempi, in vista delle storiche elezioni del ’76. Da allora ha fatto il medico, trentatre anni nel suo ospedale, il Pugliese Ciaccio, dove ora dirige il dipartimento di nefrologia e dialisi. Si occupa di trapianti di reni, gestisce il day hospital, fa parte del comitato etico dell’azienda. Ma a parte la fama di medico (“la trovi sempre, in ogni urgenza”), è il suo impegno nel volontariato che ne ha fatto un punto di riferimento in tutta la regione. Il Centro calabrese di solidarietà, per esempio. Nato nell’86 ma a cui lei iniziò a dedicarsi a fondo nel ’92. Missione: recupero tossicodipendenti. Nella regione dove la sanità e i servizi sociali sono spesso al centro di polemiche e di lotte di potere, Isa è sgusciata dalle tenaglie burocratiche e ha contribuito ad allestire servizi di avanguardia. Sono quattro le strutture del Centro. Due nel quartiere di Santa Maria, una a Gagliano e una a Catanzaro Lido. Mediamente cento presenze stabili e progetti specifici per la cocaina e gli alcolisti. Uno, ancor più complesso, per quella che tecnicamente viene battezzata “comorbilità psichiatrica”; che vuol dire tossici con problemi di salute mentale. “Sia chiaro”, premette subito, “il direttivo è fatto di cinque volontari, ma non prendiamo un euro, nemmeno di rimborso spese. Abbiamo quaranta dipendenti giovani, tra i 24 e i 45 anni, alcuni dei quali sono i vecchi ospiti delle strutture diventati a loro volta operatori. Non è bellissimo? A tutti abbiamo fatto prendere la laurea. Dopo averli curati, cerchiamo di inserire gli ospiti setacciando i progetti Por della regione o le occasioni di tirocinio formativo. Abbiamo un presidente, don Mimmo Battaglia, che è pure presidente della federazione italiana delle comunità terapeutiche, una persona straordinaria. Se posso dirlo, siamo una bella squadra. In ogni caso non ci accontentiamo di curare. Lo sappiamo bene che la sfida è prevenire. E per questo abbiamo fondato anche una struttura di prevenzione che ha gemmato a sua volta un centro di aggregazione giovanile in via Fontana Vecchia. Di che mi occupo al Centro? Organizzare il lavoro degli operatori, affinare la loro formazione, interessarmi del centro studi, intrattenere rapporti con le istituzioni politiche. D’altronde sono la più sfacciata. Mi spetta, no? Poi seguo da vicino i casi più complicati. Molti li adotto. Tanti di loro, una volta usciti, sono stati miei ospiti. Gli ho dato le chiavi di casa mia, d’altronde se non ci credessi io al loro recupero… Alcuni li ho rincontrati quando meno me l’aspettavo. Come quello che mi venne a trovare d’improvviso in ospedale con un bambino, me lo presentò, era suo figlio. ‘Si chiama Saverio’, mi disse. Era il nome del fratello che non ne era uscito, morto di overdose. Qualche ospite, una volta sposato, ha dato perfino il mio nome a sua figlia”.

Ma Isa Mantella è medico di grandi ambizioni. Così il Centro non le basta. Vorrebbe ricostruire pure il territorio, i legami, il tessuto sociale. In questo modo la prevenzione funziona meglio, spiega. Eccola dunque amministratrice della Fondazione “Calabria Etica”. Con altre missioni: nuove povertà, microcredito, sostegno alla genitorialità, aiuto alle persone colpite dalla mafia. Cinque centri, uno per ogni provincia calabrese. E Calabria Crea, coordinamento regionale delle comunità terapeutiche calabresi (“mi hanno messo pure nella stazione unica appaltante”). Una vita piena, che interrompe solo in estate. Allora, per venti giorni, il medico che c’è sempre per tutti e a tutte le ore si eclissa letteralmente. Va in barca con gli amici. Una vela di dieci metri. “Amo il mare da morire. Mica per niente quel tesoro di mia figlia, che ora fa l’ingegnere biomedico, si chiama Marina. Fosse nato un maschio l’avrei chiamato Copanello. Amo la vela e la pesca. E viaggio appena posso. Leggo di filosofia e di teologia. Sì, sono cattolica. E a dir la verità mi manca monsignor Bregantini. Ne ho una grande nostalgia, non era solo un arcivescovo, era una guida, è stata una perdita per tutti i movimenti. Certo, anche per la legalità. Nel mio campo però la legalità è materia sfuggente. Lo so che lei sta con le forze dell’ordine. Anch’io. Ma le assicuro che spesso i ragazzi mi arrivano con i segni dei pestaggi, anche dopo gli arresti. Non c’è di qua il bene di là il male. Ci sono buoni e cattivi sentimenti ovunque. Ecco, bisogna che la scuola e la famiglia si facciano carico dell’etica e dei buoni sentimenti. Non m’importa un fico secco se i ragazzi non sanno nulla di Silvio Pellico e dei fratelli Bandiera… L’importante è che sappiano da che parte stare. Che dice, vado troppo di pancia?”

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