Musica in Cambogia

il Fatto Quotidiano

14 marzo 2010

In principio fu Cambogia per caso. Poi è stata Cambogia per passione. Partendo dal palcoscenico. Su cui stava, così dicono di lui a Rimini, “come un cece a mollo”. Da cantautore era andato a un passo, ma solo a un passo, dal successo, quello che ti fa cambiar la vita. Canzoni poetiche e un istinto naturale dello spettacolo, il palco rock di Sanremo, l’apertura del concerto di Zucchero, inviti alle rassegne più promettenti. Il colloquio, tragico e comico insieme, con un manager che gli promette fortuna in cambio della rinuncia alle sue idee. “Ti farò suonare a Milano, in un locale pieno di calciatori e personaggi famosi, ma tu lì non dovrai parlare dei poveri. Dovrai dire quello che ti dirò io”. E subito la decisione di non passar la soglia, di tirarsi indietro. Di pensare meno alla sua voce e più, molto di più, alla voce degli altri. E’ stato così che Sergio Cenci, in arte Casabianca, si è messo a tirar su soldi per un Progetto Continenti immaginato a Roma. Ha fondato una associazione dal nome minimalista, “Una goccia per il mondo”, e ne ha fatto un alleato generoso e battagliero di quel progetto, con l’idea di trovare soldi per certi interventi di assistenza ai bambini cambogiani. Era il 2002. Per lui raccogliere quei soldi, in fondo, non era proibitivo. Aveva i suoi concerti, gli spettacoli di animazione dei suoi primi amici di avventura, e poi i cittadini riminesi di buona volontà, affascinati dall’entusiasmo debordante di questo musico inverosimile, che se chiede la parola in un pubblico dibattito ti chiedi  se non abbia qualcosa di svitato, i lunghi capelli ricci a cascata su sciarponi colorati e i jeans sdruciti e l’aria sempre a metà tra il discorso serio e la battuta dissacrante alla Vergassola.

La Cambogia. Simbolo, negli anni in cui lui era in culla, di fierezza e indipendenza, di “eroica resistenza all’imperialismo”. E poi simbolo, negli anni della sua giovinezza, di genocidi, tragedie e brutture indicibili. Bambini e ragazzini di strada consumatori di coca; e a loro volta oggetto di consumo da parte dei battaglioni volanti dei turisti del sesso. Sergio a un certo punto pensò che raccogliere soldi non bastava. Così nel 2005 partì per un viaggio di alcuni mesi. Volle andare a vedere sul campo e portare lì qualcosa di diverso dall’assistenza. Decise di insegnare a molti di quei ragazzini un mestiere, quello che a lui sembrava il più bello del mondo. Il mestiere del fabbro, lo stesso di suo padre, che da bambino negli anni settanta aveva ammirato a distanza in officina, gli occhi spalancati dalla meraviglia, mentre piegava il ferro ai bisogni e agli estri dell’uomo. Fioriere, cancelli, griglie o inferriate. Questo e altro dovevano imparare a fare i ragazzini di Angkor, sito archeologico nella provincia di Siem Reap, una tra le più altamente frequentate dai predoni del sesso minorile. Per lui il viaggio fu una scoperta continua. Scrisse mail agli amici di Rimini, firmate Peter Pan, il nome con cui lo chiamavano i bambini cambogiani. Per raccontare “questo grande campo di battaglia”. E per sensibilizzare. Scattò foto. Vide che le amministrazioni locali lasciavano fare; mica si occupava di politica e, quanto a loro, di quei ragazzini non sapevano che farne. Capì insomma che c’era spazio per fare qualcosa di utile e di buono.

Al ritorno in Italia la Goccia nel mondo diventò un po’ meno goccia. Sergio trovò al suo fianco don Paolo Bernabini, un parroco tosto, un ex medico noto in città per avere saputo tenere testa, in nome dei suoi parrocchiani, anche a minacce e intimidazioni. Trovò Daniela Sabatini, che sarebbe diventata la presidentessa dell’associazione, un’impiegata gentile, elegante e posata che sembra il perfetto contraltare alla sua sregolatezza e alle sue battute irriverenti. E poi Federica, Giovanna e altri volontari. Oggi intorno alla Goccia, nata un giorno da cinque-sei persone, si muovono centinaia di cittadini e, miracolo del Casabianca, sono sia di destra sia di sinistra; e mica per dire, ma sul serio. In Cambogia, a seguire le attività dell’associazione, ci sta un torinese di nome Luigi Giani, un tipo che si è trasferito in Asia ormai da più di un decennio e che fa -come diremmo noi- da project manager sul posto. Cicli di formazione di alcuni mesi, per cinque-sei-sette allievi alla volta. Mentre a Rimini si lavora con un’idea fissa: riuscire a costruire per i bambini cambogiani orfani “la casa dei mestieri”. Il sogno è un edificio a due piani: uno per le aule e uno per il dormitorio. “E’ una cosa bellissima”, dice Daniela, “vedere questi progetti che si realizzano, anche se i tempi sono sempre più lenti di quelli che vorremmo noi. Certo, se qualcuno mi chiede perché in Cambogia e non in casa nostra, io un po’ di imbarazzo lo provo. Ma questi ragazzini sono davvero alla mercé di chiunque. Poi, se vogliamo, noi in questa storia ci siamo finiti un po’ per caso. Ma ora è un pezzo grande della nostra vita. E comunque facciamo del bene in un posto che ne ha bisogno”.

E la musica, Sergio? “La musica”, risponde, “va bene per fare i concerti. Con me li fa anche Filippo Malatesta. Sono sempre pieni. Serve a raccogliere soldi, la chitarra, perché a noi non ci finanzia nessuno. Tranne qualche minimo contributo facciamo tutto noi”. Qualcuno la chiamerebbe cultura del fare. Nella città del Meeting e del divertimento a getto continuo, nella città di Fellini, la “Goccia nel mondo” di Sergio Casabianca e dei suoi amici traccia forse una strada nuova. “Mi piacevano i ciccioli di maiale, pensavo di diventare un cantante famoso, ho scelto i bambini di strada”.

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