GIAMPIERO DELLA TORRE E IL TORNEO “GIGI MERONI” CHE RISCHIA DI FINIRE

il Fatto Quotidiano
21 marzo 2010


Stavolta il Giampiero getta la spugna. Con il groppo in gola ma smette. E come lo tiene in piedi quel torneo di calcio, quella grande festa per ragazzi che era diventata un po’ la sua ragione di vita? Trentacinque bellissimi anni di torneo “Gigi Meroni”. Per un po’ se l’erano spupazzato con sussiego il Como, il Genoa e il Torino, ovvero le squadre in cui il beat degli stadi aveva fatto sognare i tifosi. Poi basta. Tanta retorica sul Meroni anticonformista e poeta del pallone anni sessanta, ma nessuna voglia di spendere tempo e  soldi, anche pochi, per coltivarne la leggenda tra i ragazzi. “Quando vedemmo che le sue squadre lo abbandonavano, lo prendemmo in mano noi amici quel torneo. E quando dico ‘noi’ dico soprattutto il Luigino Nessi e io, Giampiero Della Torre. Che intorno al Gigi eravamo un po’ come Peppone e don Camillo, e il don Camillo lo facevo io”.

Giampiero Della Torre ha un fisico tarchiato e la faccia aperta e schietta del comasco cresciuto alla larga dai guadagni facili del contrabbando. Faceva il meccanico, e da meccanico si era conquistato la fiducia del celebre numero 7 granata, che per le auto aveva notoriamente un debole. “Amici. Sì, siamo stati amici da sempre. Io giocavo nello stesso cortile dove giocavano lui e il suo fratello maggiore, Celestino, che finì anche lui nel Como. Allora il cortile voleva dire amicizia. Ora vuol dire coltello. Io ero un po’ più grande di loro. Solo che ero uno scarpone. A San Bartolomeo, l’oratorio da cui Gigi spiccò il volo, le squadre le facevano i portieri, scegliendo tra i bambini e i ragazzi che si presentavano ogni pomeriggio alla partita. E mica era come oggi, i bambini erano tantissimi. C’era da scegliere, insomma. Così io venivo scartato regolarmente, anche se poi restavo sempre lì a vedermi le partite. Dopo qualche anno mi guadagnai la fiducia di Gigi come meccanico. Quello lo facevo bene. Ero io il suo consulente, con le sue macchine c’entravo sempre io. Sì, soprattutto con quella pazza seicento con cui scappava dal ritiro e si faceva Torino-Milano e ritorno per andare a trovare in piena notte Cristiana, la sua innamorata.  Solo con l’austin che comprò da Lido Vieri, il portiere che sembrava un attore, se lo ricorda?, io non ebbi nulla a che fare. L’avevo avvertito che quella spider era un cesso, tanto che una volta andando da Milano a Como il cofano saltò che quasi mi si ammazza… Ma certo c’entravo io con la Balilla foderata di rosso, con cui portava a spasso la famosa gallina. Gliela risistemai  tutta. E ci facemmo pure il giro del Lario, un campionato di 120 chilometri su auto d’epoca, ne parlò perfino ‘Quattroruote’. Siamo stati amici veri. Lui il campione e io la schiappa. Ma sulle auto il campione ero io, e le auto a lui piacevano. E poi ogni lunedì tornava all’oratorio e allora ci dava anche lo sfizio di farci giocare con lui sul campettino”.

Bella, malinconica e perfino struggente storia, quella di Gigi Meroni il calciatore artista. Una storia irripetibile, perché è del tutto pleonastico chiedersi con nostalgia quale giocatore oggi sia come Meroni. Basti dire che la sua vita fu un intrico di fili misteriosi fino alla morte, avvenuta sotto l’auto di un tifoso granata che sarebbe diventato presidente del glorioso Toro. E che per lui l’avvocato Agnelli, era l’estate del ’67, gettò sul piatto la cifra più alta mai offerta fino allora nella storia del calcio italiano. Più di ottocento milioni. Sfumò tutto per l’ insurrezione dei tifosi esplosa a mezzanotte, appena si seppe che l’idolo granata stava passando alla Juve. Pochi mesi dopo, la morte ghermì la farfalla granata a tradimento. E nacque la sua leggenda, che le squadre di appartenenza trattarono con retorica e sufficienza.

Ed è proprio a questo che si è ribellato il Della Torre. Per amicizia. Un’amicizia omerica. Fuori dai nostri tempi. In onore delle partite giocate giù in cortile e di quelle a carte giocate all’oratorio. Per amicizia lui e il Nessi e gli altri hanno organizzato un grandioso torneo per ragazzi. Ogni anno dai primi di settembre a metà novembre. Centoottantasette partite in tutto, cinque finali al Sinigaglia (il trofeo Meroni, la Coppa del Torino Calcio, e quella del Calcio Como, primo e secondo, terzo e quarto posto), mille ragazzini a volta, con centinaia di famiglie che ci hanno partecipato con più generazioni, compresi padri e figli. Trentacinque anni per ripagare l’amico campione di quella morte fellona a ventiquattro anni. Per un terzo di secolo ha realizzato l’evento calcistico di massa più atteso in provincia di Como. Semplice meccanico e manager di eventi. Senza che nessuno, tranne la Maria e il Celestino Meroni, i fratelli, lo ringraziasse o riconoscesse a lui e al Nessi il servizio reso allo sport comasco. Ora però non ce la fa più. “Con il passar del tempo gli amici sono diventati di meno e molti non sanno chi sia Meroni. E molti comunque non lo vogliono sapere, se no dovrebbero scucire alla sua memoria 500 euro. Sa, io ormai prendo mille euro al mese di pensione e arrotondo andando in garage al pomeriggio. Prima conoscevo tante persone mie clienti e gli mettevo le trappolette. Un po’ di soldi da questo, un po’ di soldi da quello. Quanto occorrerebbe oggi? Mah, all’incirca quindicimila euro. E le pare che tra Como, Genoa e Torino non possano tirarli fuori? Io comunque continuerò. Non come prima perché non posso. Porterò tutto in un oratorio, o al San Bartolomeo o ad Albate. Lo faremo solo per bambini, a spanne duecento bambini. Ma finché vivo io un torneo intitolato a Gigi Meroni ci sarà. Glielo devo, è stato un grande amico”.

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