Dolci fesserie

Oggi abbiamo salutato Bisi nella chiesa a quaranta metri dalla sua osteria. Sì, la “sua”; così sua che è stato lì che ha smesso di funzionargli il cuore dopo averci lavorato per più di trent’anni. Qualcuno è rimasto colpito per quanti fossero i compagni del pensionato Bocconi venuti a salutarlo. Incanutiti, con le rughe, qualcuno ingrassato assai. Ma eravate davvero uniti, ha detto. Sì eravamo uniti. Come chi ha creduto nelle stesse cose e ha condiviso proprio tanto, con sempre meno pudori. Eppure non c’era clima da “Grande freddo”. E mica solo perché nel “Grande freddo” gli amici convenuti fossero assai più sui quaranta che sui cinquantacinque-sessanta. Ma perché oggi c’era il dolore asciutto per la scomparsa di un punto di riferimento -lui nell’osteria sui navigli, che si intravvedeva da dietro le vetrine-; e nessun pretesto per raccontarci o riannodare le nostre storie. C’era Chiara, la figlia, e questo rompeva l’equilibrio antico delle amicizie come lo rompe ogni figlio bisognoso di aiuto. C’erano ricordi che serpeggiavano discretamente nell’aria. Uno me lo ha restituito Danilo. Due versi che avevo scritto in coda a qualche poema augurale per un compleanno lontano, quasi a spiegare la nostra amicizia: “vivono lottando, sono i bisignando”. Come diventano belle le fesserie quando se le lavora il tempo.

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