Piccole grandi notizie: Silvia, Matteo, io, l’Inter, la Biondina e la stampa che paventa

Questo è il post delle grandi notizie. O meglio, delle notizie che in questo sussulto inverecondo di chiese, di partiti, di riforme e di guerre, mi piace considerare grandi. Un po’ come quando il Sole-24 Ore, mentre tutta la stampa del mondo impazziva per il matrimonio di Diana, dedicò una bella paginata al matrimonio di un operaio inglese (se ben ricordo). Si proceda dunque.

Notizia numero 1. E’ andata in pensione la signora Silvia, della mia segreteria quando ero al Ministero. La chiamavo Ferrarelle per i capelli ricci ed effervescenti (e poi era un po’ bizzosa di suo…). Non mi ha neanche chiesto il permesso e così l’ho rimproverata via sms. Mi ha telefonato contenta dieci secondi dopo: onorevole (mi chiama ancora così), sono entrata al Ministero che avevo diciotto anni, ne sono passati quaranta, ora la sera lo sa che faccio? Mi dedico al tango. Fantastico. Auguri a lei e con l’occasione anche a Gabriella, Tina, Cinzia, Giuliana, Valeria, Carmine, Franco e Pietro il laziale.

Notizia numero 2. E’ uscito il libro di Matteo Speroni, cronista milanese del “Corriere” ma soprattutto -perché questi sono i veri titoli di merito nella vita- già redattore ragazzino di “Società Civile”. Titolo: I diavoli di via Padova. Sottotitolo: “Cronaca di un inferno annunciato”. Come avrete capito si tratta della famosa via Padova di Milano, il quartiere dove abita Matteo. Che le vie e i bar e i garage e i negozi e i crocicchi e gli anfratti bui se li è girati tutti, perché faceva il giornalista così già da ragazzo. Edizioni Cooper. Non l’ho ancora in mano ma lo leggerò sulla fiducia. So che non ci troverò razzismo né luoghi comuni. Solo la meravigliosa curiosità di chi ama tirar le tre di notte.

Notizia numero 3. Ho finalmente spedito a Polis, rivista accademica, l’articolo-saggio più faticoso della mia vita. Mica lungo, in definitiva: 25 cartelle. Il guaio è che mi sono messo in testa di spiegare come mai è sparita la letteratura sulla mafia prodotta prima delle stragi. E i controlli bibliografici sono una dannazione. Date sbagliate, citazioni ripetute senza avere letto i libri e che passano di generazione in generazione come le celebri barzellette in caserma (dal generale al caporale). Uno stress di mesi interi. Se qualcuno ne vuole una sintetica e pimpante anticipazione, può trovarla sull’Indice di aprile. Se qualcuno lo vuole di 250 cartelle, aspetti la mia antologia “I classici dell’antimafia”,  per il prossimo inverno. In ogni caso oggi sono davvero sollevato. Giuro che le date e i titoli mi uscivano dagli occhi.

Notizia numero 4. Ha vinto l’Inter. Brutta partita, che ho visto come se fossi negli anni cinquanta: dal tabaccaio all’angolo sotto casa, riadattato a piccolo cinema nerazzurro. Eravamo tutti molto competenti e questo ha spinto il blasonato undici milanese verso le semifinali. Bravo Mou e bravi noi.

Notizia numero 5. Dopo il supplizio di “finalizzare” al posto di “concludere” sta arrivando sulla nostra stampa una nuova atrocità linguistica: “paventare” al posto di “prefigurare” o “immaginare” o “fare intravedere”. Paventare vuole dire “temere” (dice niente la parola “pavido”?), analfabeti che non siete altro.

Notizia numero 6. Da martedì prossimo, ore 21, inizia allo Spazio Melampo un grandioso ciclo di incontri letterari: “Figli che scrivono dei padri”, organizzato genialmente dalla Biondina. Ogni martedì sera, e fino al 25 maggio, un figlio che ha scritto di suo padre (Umberto Ambrosoli, Bice Biagi, Augusto Bianchi, Mario Calabresi, Andrea Casalegno, me medesimo, Benedetta Tobagi) verrà intervistato non da un pisquano qualsiasi ma da un intellettuale in grado di tirargli fuori, dialogando, le cose più ricche e più umane e più istruttive e più capaci di far pensare. Troverete tutto domani sulla colonna alla vostra sinistra. Credo che sia una delle iniziative culturali e civili più significative di questi anni. Mica per niente l’ho messa in fondo…

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