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I bambini di tutto il mondo uniti dal teatro di Alfonsine
il Fatto Quotidiano
11 aprile 2010
Potenza delle maiuscole. Quando ti dicono che i due sacripanti che hanno inventato tutto sono a tiro, vai in brodo di giuggiole, incontriamoli stasera. E invece loro sono a Tiro in Libano, dove ne stanno preparando un’altra. “Loro” da queste parti sono per antonomasia Enrico e Alessandro, cognomi rispettivi Carovita e Taddei. Due vulcanici trentenni, cittadini del mondo (uno riccio, uno testa rasata) con una spiccata vocazione ad allevar bambini all’arte della pace.
E’ iniziato tutto ad Alfonsine, questa cittadina in provincia di Ravenna. Paese natale di Vincenzo Monti per le professoresse di lettere di una volta. Unico posto d’Italia in cui la Liberazione si celebri il 10 aprile per i cultori di storia partigiana. Questa fu la linea del fronte dal dicembre del ‘44 alla primavera del ’45, fino allo sfondamento definitivo del 10 aprile. Quella storia di Resistenza, guidata dal Mario Cassani, barbiere garibaldino e primo sindaco del dopoguerra, ha lasciato radici lunghe. Fu guerra non di montagna ma di pianura. Che coinvolse famiglie e cascine, forgiando una solidarietà che nessuna rappresaglia seppe spegnere. E non l’ha spenta nemmeno il tempo, la solidarietà. Per questo, anche ora che il 10 aprile viene celebrato con i pochi combattenti del tempo ancora vivi (tra cui il Cassani) in una grande festa di popolo, Alfonsine è all’avanguardia nei gemellaggi e nelle iniziative di solidarietà con i paesi delle aree del mondo meno fortunate. Solidarietà con la Palestina o con i paesi lacerati dalle guerre dei Balcani. Solidarietà che diventa teatro per l’infanzia grazie al genio di quei due che ora stanno a Tiro e che hanno dato vita a una compagnia teatrale, Ponte Radio. Sulla cui scia è nata l’altra associazione “Oltre confine”, fondata da nove genitori di bimbi delle elementari, che nei progetti di Ponte Radio ci hanno creduto subito. E che non amano alcune parole classiche del politicamente corretto: tolleranza e integrazione, per esempio. Gli piacciono di più, semmai, “rispetto” e “insieme”. E, più di ogni altra, “persona”. Ecco dunque l’obiettivo: immaginare attraverso il teatro città e paesi senza confini e senza muri. Farli immaginare, soprattutto, ai piccoli studenti. Dietro le idee di Alessandro ed Enrico (“un bel caratterino, ma con i bambini ci sanno fare come pochi”) si sono messe così le scuole elementari Matteotti e Rodari. In particolare quest’ultima, che ha il tempo pieno. E, con loro, decine e decine di famiglie.
La pensata azzardata e geniale è di realizzare spettacoli teatrali che vedano recitare insieme bambini romagnoli e bambini bosniaci, bambini di Alfonsine e bambini di Berlino, ma scelti rigorosamente nella comunità turca, la quale i muri morali li vive sulla pelle. Certo, c’è di mezzo la conoscenza della lingua. E che problema c’è? Si fa un teatro con poche parole e molta gestualità, ricco di simboli, di movimento e musica. Si valorizzino il corpo e le luci. Certo, ci sono di mezzo le spese di ospitalità, con questi maledetti tagli della scuola. E che problema c’è? Si ospitano i bambini che vengono da fuori nelle famiglie di Alfonsine (la solidarietà…). “E impariamo pure un sacco di cose”, spiega Donatella Guerrini, presidente di Altro Confine, professione dentista e che ai bimbi che arrivano in visita dai paesi gemellati fa pure le visite gratis.
La prima volta che si ebbe una rappresentazione comune fu nel 2007. Titolo, Sul confine. Kroz ogledalo. I bambini della Rodari e quelli della Novi Grad di Tuzla lo recitarono insieme al Mess Festival di Sarajevo. Un trionfo. Per poi riunirsi di nuovo ad Alfonsine e replicare alla rassegna Nobodaddy di Ravenna Teatro. Poi è stata la volta dei bambini turchi giunti da Berlino. E intanto una presenza di Ponte Radio e di Oltre Confine a Jenin per iniziare, con bambini palestinesi, la trilogia del Mediterraneo che vedrà, in successione, il nero inferno (Palestino), il rosso purgatorio (Alfonsine-Berlino) e il bianco paradiso (Libano). Progetti che si librano in alto, fino ai limiti dell’utopia. E i bambini di Alfonsine? Loro, seduti nei giardini della piazza centrale, dicono che hanno imparato e stanno imparando tanto. Anche perché, avvicendandosi negli anni, alcuni di loro seguono esperienze già compiute da fratelli e sorelle maggiori. “Ci parliamo in inglese”, spiegano; “oppure a gesti”. Le lettere scambiate con i loro coetanei bosniaci, scritte in italiano ma anche in inglese, sono le tracce di un cammino prezioso. Febbraio 2008. Inviata ai bambini di Tuzla in attesa del loro arrivo: “Aspettiamo marzo con ansia e speriamo di esservi simpatici. Speriamo che sappiate giocare a calcio perché noi non siamo scarsi. Voi avete la play station 2? E quella portatile? I nostri amici ci hanno detto che siete simpatici. Noi abbiamo visto il video e ci è piaciuto molto”.
I bambini di Tuzla hanno lasciato ad Alfonsine una grande impressione per la loro vitalità straripante. Desiderosi di fare tutto. I turchi invece sono apparsi più vicini ai nostri stili di vita. Lorenzo, Leonardo e Tommaso, quarta elementare, il teatro lo fanno da chi da attore chi da tecnico delle luci. Aspettano di andare a Berlino in giugno per restituire la visita. “Dormiremo in una tenda, ma non quelle da campeggio, quelle con dentro i letti. Se è bello? Certo che è bello. La prima volta ci hanno applaudito per venti minuti (be’ un po’ meno, fa di uno di loro…). Bello vedere che siamo uguali. Magari loro mangiano più cetrioli e carote, ma dopo un po’ sembra quasi che siano nostri fratelli. Se sono bambini. Se sono bambine, invece sembrano delle sorelle”.
Nando
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