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Com’è bello salutarsi nel Pd
Pubblicato su il Fatto Quotidiano di oggi
“La parola a Pietro Ichino”. E’ un attimo. All’annuncio di Rosy Bindi la sala si svuota di un terzo. E tra chi resta seduto corre un chiacchiericcio molesto. Sabato scorso, direzione del Pd. Deve intervenire la presidente del partito perché il senatore-professore possa parlare in un’atmosfera rispettosa. Fino a qualche minuto prima la direzione ha ascoltato al completo e con compunta attenzione il discorso di Massimo D’Alema. Due metri opposti. Come non ripensare ai tanti uditori zeppi di imprenditori e di partite Iva nei quali, specie al nord, al nome di Pietro Ichino scatta la curiosità dovuta al prestigio dell’ospite? In fondo il distacco del partito dalla società civile non potrebbe essere illustrato meglio, e con più tagliente ironia. I dettagli, i dettagli. Il partito che ascolta distratto chi fa il pieno tra i ceti professionali e ascolta, invece, in simbiosi quasi carnale big che, a ragione o a torto, molti elettori indicano tra le ragioni della loro disaffezione. Si chiama autoreferenzialità. E probabilmente è arrivato il momento di non concederle più molto, se è vero che siamo davanti a una profonda crisi di credibilità della politica.
Crisi che sabato scorso è stata la premessa del dibattito: il disamore, l’astensionismo, i milioni di voti che si mettono in frigorifero. Solo che poi ci si è rituffati lestamente nel solito brodo: le riforme, i ceti moderati, il presidenzialismo. Eppure la premessa interrogava e interroga su altro. I comportamenti pubblici, la coerenza, il suono sincero della parola, il prestigio delle persone, la faccia del partito sempre più spesso affidata a persone senza storia. L’immagine di una non-opposizione. Il fantasma del mucchio indistinto che può tentare l’elettore se, via pizzino, si danno suggerimenti all’avversario per replicare meglio al proprio alleato in televisione, se gli amministratori vengono presi con le mani nella marmellata ecc. O la capacità di dialogo con i movimenti. Già, neanche la perdita del Piemonte sembra avere insegnato nulla. Sono tornate più volte le scomuniche per il popolo viola e per l’idea (non solo del popolo viola) che su certi temi non si possa negoziare. La giustizia civile, si dice. Ma davvero il tema dello scontro con Berlusconi è quello della lunghezza della giustizia civile? E da quando?
Eugenio Scalfari ha notato, a proposito del famoso radicamento, che quel che manca al Pd è il sapere essere tutt’uno con un popolo guidato quotidianamente in battaglia, l’ essere comunità politica. E infatti. Di nuovo parla il dettaglio surreale. Nel gruppo dirigente democratico il saluto è rarissimo. O ci sono amicizie di lunghe radici, o il solo conoscersi e avere svolto o svolgere attività politica o parlamentare insieme non è sufficiente per salutarsi. Si salutano i potenti, quelli che ti hanno lottizzato e portato in direzione. E i potenti salutano solo i loro fedelissimi. Salutare il compagno o la compagna di idee è una fatica, un fastidio. Gruppi di indifferenti, imbozzolati nel loro spirito di conventicola, sostituiscono la comunità; quella di chi dovrebbe sentirsi solidalmente impegnato in una battaglia che vale i destini del paese. Un senatore di grande prestigio intellettuale (e per questo chiamato a parlare in tutta Italia) mi ha confidato un giorno che quel che lo ha più colpito della sua recente esperienza è che, dopo il primo benvenuto, nessuno o quasi dei compagni di partito, incontrandolo a Palazzo Madama, lo saluti. Il più elementare gesto civile messo al bando. Domanda: che rapporto umano ci sarà mai con i cittadini comuni, quelli che Berlusconi saluta ovunque con larghissimi sorrisi?
Per fortuna su questo scenario sono arrivate le parole conclusive di Bersani. Che hanno a che fare con la comunità possibile. Prima della linea politica, ha detto, abbiamo un problema: quello della stima dei cittadini. Chi non è stimato, chi dà scandalo in nome della ditta, non venderà mai la sua merce. Appunto. La stima verso chi sa stare nel suo popolo e guidarlo in battaglia. Ripartiamo da qui?
Nando
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