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Grandezze catalane (e indecenze calabresi)
Grandi. Grandi. Grandissimi. Meravigliosi giocatori vestiti di nero, il colore della notte, e di azzurro, il colore del Tirreno. Gladiatori, li avrebbe definiti Nicolò Carosio, telecronista della mia infanzia. L’Inter ha eliminato il Barcellona campione del mondo, che sognava di far pentire i nerazzurri di avere scelto un giorno di diventare calciatori. Dieci contro undici, come l’Italia degli europei del 2000 contro l’Olanda. Un’espulsione ingenua, con l’occhio traditore della vittima a terra immortalato dalle tivù. Un gol in fuorigioco; ma vabbe’, quello ci stava pure, con gli errori dell’arbitro all’andata. Mi è sembrato di rivivere le partite degli anni sessanta. Quella difesa perfetta, con Lucio e Samuel semplicemente giganteschi, e Milito ed Eto’o a fare i terzini. Dite che è stata una brutta partita perché l’Inter ha giocato sempre in difesa? Può darsi. Ma io in “Capitano, mio Capitano” (dedicato ad Armando Picchi) ho elaborato la tesi più vera. La difesa è metafora della vita, la vita si gioca sempre in difesa anche quando vorresti andare in attacco. Fatemi venire uno che dichiari di averla giocata in attacco e io gli smonto il teorema in dieci minuti. Per questo le grandi partite difensive ci esaltano tanto, scavano nella nostra psiche, si inchiodano nel nostro cuore. Ci svuotano. Come sono svuotato io, con i muscoli contratti, sfinito, oh, è difficile giocare in trasferta. Svuotato ma felice, tanto che ho voluto comunicarvelo subito appena tornato a casa dopo il festazzo imbastito davanti allo schermo dall’amico avvocato (ebbene sì, lo confesso: ho chiuso il 94° liberando i gestazzi che mi ero tenuto durante la partita). Ora son qui a festeggiare con un magnifico lambrusco freddo e antologia di Vasco regalata dal Gracco maggiore. E la biondina incredula.
Immagino il saggio: quoque tu? Calcio oppio dei popoli anche per te? Non temete. La gioia è pari alla rabbia per l’indecenza di quell’applauso al boss Tegano a Reggio Calabria. Andare ad applaudire il latitante appena catturato…Be’, qui la dico, sapendo di fare arrabbiare qualcuno. Sapete perché la ‘Ndrangheta si sta dimostrando una bestia più brutta di Cosa Nostra? Perché scene del genere, oggi -dico oggi- a Palermo o a Catania o a Trapani sarebbero impensabili. Lì al latitante in manette gli andrebbero a fare le pernacchie, come gliele hanno già fatte più volte. Il consenso, maledizione; il consenso. Che si può rompere se hai grandi città che ti tirano la volata con un’opinione pubblica vera. Ma che resta come una melma addosso se non hai la massa d’urto. Non bastano, insomma, i ragazzi di Locri. Speriamo che il trauma serva. E che anche queste righe forse ingenerose spingano qualcuno ad andare più a fondo. Farò la mia parte. Andrò in Calabria in giugno (giornata tirata via con i denti a un’agenda straripante) a dir cose scomode e schiette. Quando accadono quelle scene vuol dire che si è dormito più del consentito, dai vertici della politica agli asili nido.
E per capire come altri non hanno dormito andate a leggervi “Don Vito”, il libro-intervista di Francesco La Licata a Massimo Ciancimino. Misurate la Palermo di ieri e quella di oggi, che pure è infeudata a Cuffaro o a Micciché o a Schifani. Misurate la distanza, nonostante tutto…E andate a vedere i nomi dei giudici complici: gli stessi, guarda un po’, che avevo schizzato d’istinto in “Delitto Imperfetto”. Senza nulla sapere. Ma solo per la mimica con cui avevano accolto il prefetto antimafia. Eh, la mimica…
Nando
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