Diario da Lisbona/3. Muito obrigado

Qui Lisbona, Portogallo, ultimo lembo dell’Europa prima dell’oceano Atlantico. Qui Cabo da Roca, “onde a terra acaba e o mar comenca”, come sta inciso sul monumento estremo a firma Luis de Camoes. Eccoci dunque alla penultima puntata. A Lisbona sembra sempre festa. In realtà ho preso un’infilata strepitosa di ricorrenze. La festa nazionale prima. Poi i venticinque anni dell’ingresso in Europa. E stasera-stanotte la vigilia del santo patrono, Sant’Antonio. C’è aria da sabato del villaggio, e che villaggio. Marce popolari previste sulla Avenida da Liberdade, dove i miei benefattori mi hanno prenotato (e pagato; smack!) l’albergo. Aria da straripamento per le strade. Che sono in quest’ora semivuote per la semplice ragione che si preparano a riempirsi. Una parte della città sta preparando le salsicce e soprattutto le sardine da vendere per strada, un’altra parte (più i turisti, pochissimi italiani) si sta preparando a farne sublime scorpacciata tra canti e danze. Già si odono suoni di tromba venire da lontano mentre perfino nelle navate delle chiese si annusano acuti odori di cibo. Volete voi che le sagrestie rinuncino ai guadagni della grande festa del patrono? In ogni terrazza o belvedere i tavoli sono già apparecchiati, la gente si prepara con una birra o sbadigliando felice (o fotografandosi altrettanto felice) sulle panchine. Fermento e tovaglie agli angoli delle strade. Anche davanti alle sezioni del partito socialista, dove evidentemente non fanno ancora scuola quelli secondo cui l’importante è comunicare. Semmai a Lisbona il partito socialista comunica un certo orgoglio della sua storia. La sua sede nazionale è dipinta di rosa e sulla grande parete che dà sulla piazza campeggiano enormi foto di tutti i suoi segretari. A Lisbona accadono cose per me impensabili, anche se assolutamente desiderabili. Puoi prendere uno dei suoi tram gialli e se a un certo punto non ci sono abbastanza posti in fila per far sedere accanto te e i tuoi amici, puoi chiedere a un passeggero se per cortesia si sposta in quell’altro posto vuoto per rendere più piacevole il tuo viaggio. Mi è capitato ieri. Signora si può spostare? E lei con grande sorriso si è spostata anche se per via della sua pinguedine il nuovo posto le andava più scomodo. Un sorriso, un obrigado, un’obrigada (a Milano avrebbero detto “ma vai a lavorare”) e la vita è più bella: perché la gita è più carina, perché trionfa la gentilezza. A Lisbona hanno già anticipato i sogni di B. Il ponte Vasco da Gama, che il vostro caprone aveva sempre chiamato Vasco de Gama, è più lungo di quello che vorrebbero fare sullo stretto di Messina. A Lisbona il sottoscritto ha pensato con fierezza a quando era candidato sindaco e proponeva per le periferie affollate e solitarie di creare  latterie sociali. Mi sono imbattuto in una splendida “leitaria” in Rua dos Sapateiros  dove persone di tutte le età stavano ai tavoli o fuori sull’uscio e consumavano in compagnia, e mentre bevevano o mangiavano si diffondeva dall’interno la musica di un trio (voce calda, flauto o sassofono e chitarra) e si rideva e si applaudiva. Non sono riuscito a entrare, ma mi è venuta nostalgia per non averne potuto regalare una bella manciata ai milanesi. A Lisbona i pescatori si ammassano sul Tago all’imbrunire e si dispongono in fila con canne e felpe e i cappellini sulla testa. Perché qui fa fresco, mica si scoppia dal caldo come in Italia.

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