Voglia di cultura (italiana) a Lisbona

Il Fatto Quotidiano

13 giugno 2010

“Ecco, questo era lo studio di Antonio Tabucchi. Il suo pensatoio. Qui leggeva, scriveva, organizzava. E’ piccolo ma guardi un po’ che vista”. Be’, se era una torre d’avorio, ha dato i suoi frutti. Lo studio che Tabucchi presidiò per due anni nella sua veste di direttore è quello dell’Istituto italiano di cultura all’estero di Lisbona. Un edificio in legno bianco in Rua de Salitre 146, la bandiera italiana che sventola in cima alla salita acciottolata, appena dopo avere incrociato sulla destra una meravigliosa nuvola color indaco e ciclamino in Rua de Castilho. Jacaranda, fiori di piante che vengono dal Brasile e che paiono sospesi in aria a cambiare le tinte del cielo. L’Italia si tasta e si vede anche qui, fuori confine. Non quella vociante e chiassosa dei viaggi organizzati, ma quella colta, gentile e dalla passione un po’ felpata che diffonde la nostra cultura all’estero.

Ugo Rufino è un maturo e giovanile funzionario del Ministero per gli Affari Esteri, che a Lisbona fa il vice di Lidia Ramogida, la signora appena giunta al posto che un giorno fu di Tabucchi. Napoletano, laureato in filosofia, ha una passione dichiarata per la grande letteratura tedesca e quella russa dell’ottocento. E’ arrivato qui nemmeno un anno fa da Madrid, dove si è preso anche un dottorato in filologia italiana. Di rapporti con la cultura ispanica o latino-americana Rufino se ne intende. Iniziò a conoscerle da vicino nei primi anni novanta a Tegucigalpa, in Honduras, poi è stata la volta di Granada e dell’Andalucìa. Finché è arrivato il passaggio alle grandi capitali iberiche. Un confronto non facile, perché qui di letteratura e cultura ne masticano da sempre e anzi ne hanno fatto materia più onorevole di tutte. Basti pensare che in Portogallo la festa nazionale non celebra una vittoria militare ma  l’anniversario della nascita di Luis de Camoes, il Dante portoghese, sedicesimo secolo. Ciononostante l’Italia si difende bene. “E’ vero, non siamo tra le lingue più parlate al mondo. Però la nostra è  lingua di civiltà letteraria, una delle più amate e studiate per la sua storia. Pensi che ogni quadrimestre abbiamo più di quattrocento persone che vengono da noi a imparare lingua e cultura italiana. Si distribuiscono in stanze e orari sempre diversi, praticamente nei giorni feriali è un andirivieni. Abbiamo anche un ultraottantenne che continua a frequentarci, ormai ha fatto tutti i corsi possibili, andrà a finire che dovremo inventarci qualcosa di nuovo per lui”. Rufino conduce con orgoglio e cortesia  il visitatore per i locali dell’Istituto. “Questa è la sala Dante, questa la sala Petrarca. Venga, c’è pure una sala Moravia, anche qui si fanno dei corsi. Perché tanta iconografia dedicata a Marinetti? Perché venne a vivere per un periodo a Lisbona e incontrò il futurismo portoghese, tenga presente che anche Pessoa ne fu influenzato. Qui c’è il giardino a due piani per i ricevimenti, e qui la sala cinematografica per i film italiani, abbiamo fatto un ciclo sui nuovi registi,  ‘Margini’ l’abbiamo chiamato, con Anna Negri, con i localismi italiani, e abbiamo pure presentato la terza edizione della festa del cinema italiano: sono venuti Bellocchio, Ozpetek e Garrone ”. 

Si sale di piano, continuando a parlare. Ecco ancora la sala del teatro do Salitre (salsedine, vuole dire). “Una sala storica. Questa è stata una delle poche isole di democrazia sotto la dittatura di Salazar. Gli intellettuali antifascisti portoghesi venivano a discutere, ad assistere agli spettacoli teatrali. Qui non li poteva censurare nessuno. C’era l’immunità diplomatica. Per questo l’Istituto ha messo radici nella storia della democrazia portoghese”. Già, venticinquemila libri, migliaia di dvd, decine di riviste, consultati ogni giorno da studenti, da amici della cultura italiana ma anche da italiani che vogliono tenere stretti i legami con la propria patria. E rapporti con tutti i principali istituti culturali lisboneti, dal Centro culturale di Belem alla fondazione Gulbenkian, dalla Càmara municipal de Lisboa al Palacio Foz, dove quest’anno l’Istituto ha organizzato un concerto per il centenario di Pergolesi.

Insomma: in Italia i tagli alla cultura e l’imbuffonimento del potere, all’estero la cultura che, lungi dal vendicarsi, fronteggia il declino di immagine del paese, e fa conoscere lingua, cinema e teatro e porta Niccolò Ammanniti, Claudio Pozzani o  Erri De Luca. “Be’, noi facciamo il possibile, qui rappresentiamo il nostro Paese, una storia di millenni, questo è il nostro dovere”. Rufino non lo dice, ma alcune sedi degli istituti hanno iniziato a chiudere, a Lille per esempio. E i tagli di fondi colpiscono anche qui. Sicché non si capisce, da osservatori, se questo sia un avamposto o uno di quei fortini che proteggono le ritirate della Grande Armata.

Lui ci sta, comunque, intenzionato a difendere all’estero il buon nome del Paese. Con la sua famiglia, perché è insieme che si viaggia e si porta un cognome. Con Mariella, per esempio, la moglie colta e sorridente che insegna lettere in un liceo torinese. O i figli Francesca, dodici anni, e Giovanni, arrivato a quattordici avendone vissuti in Italia solo tre ma che “fa” l’italiano a pieno titolo, subendo di viaggio in viaggio qualche piccola discriminazione adolescenziale. Ultimamente Giovanni si è preso la rivincita. Da tifoso interista, infatti, è schizzato moralmente in cima alle classifiche che a scuola contano davvero, quelle del calcio. Senza conflitti con nessun compagno. Perché Mou, tutto sommato, è di queste parti…  

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