Mafia, qualcuno difenda il nord (su “Il Fatto Quotidiano” di oggi)

Qualcuno difenda il nord. La valanga di arresti dell’altra notte in provincia di Milano dimostra che cosa succede in Padania mentre i riflettori sono accesi su Palermo, Napoli e dintorni. Protetta dal suo cono d’ombra, la ‘Ndrangheta galoppa a briglia sciolta nella prateria nordista. Fa letteralmente quello che vuole. Sembra che la cosa preoccupi solo un gruppo di magistrati e di esponenti delle forze dell’ordine. Ma il cuore economico del paese,  quello su cui soffiò un giorno il vento della Liberazione e fu roccaforte della più combattiva cultura operaia, viene mangiato giorno dopo giorno dai clan attivi ormai in ogni settore della produzione e dei servizi. Le autorità politiche e amministrative, i rappresentanti delle istituzioni di governo, si affannano a dire, da Milano a Imperia, che non esiste un rischio ‘Ndrangheta. Che ci sono solo i rom e i clandestini, che sono loro il problema della sicurezza. E poi i cinesi, già, anche loro ci volevano. Ma organizzazioni mafiose no, quelle non ci sono. Finché, dopo mesi di denunce ultraminoritarie, riecco la conferma: interi paesi trasformati in colonie dei clan. Sta accadendo qualcosa di clamoroso: è al governo del paese una forza che ha fatto della difesa del nord la propria ragione sociale e che invece lo sta lasciando totalmente in balia di bande armate dotate di arsenali di guerra. Scappano, letteralmente scappano amministratori e dirigenti politici. Tanto sanno alzare la voce, fare il petto in fuori, ergersi a santi protettori delle genti davanti ai minori rom e ai borseggiatori, tanto voltano le spalle, fanno finta di non vedere, se la danno a gambe quando hanno di fronte gli uomini dei kalashnikov. Colpisce questa vigliaccheria diffusa, che viene ancora prima della complicità in voti e affari. Che inevitabilmente seguirà. E anzi già sta emergendo in forme preoccupanti in settori del ceto politico lombardo, dove troppi sono stati i silenzi e gli occhi chiusi, pure a sinistra (le ‘ndrine che si riuniscono in una sede dell’Arci…).

Stiamo assistendo a un film surreale. A Erba vengono fatte saltare per aria nella stessa notte due discoteche. Un messaggio chiaro, che non è la pretesa del pizzo, ma una pretesa di controllo sull’industria del divertimento, sui luoghi dove si mescolano gli ambienti sociali e si fa amicizia con i rampolli della buona borghesia, dove si smercia la “roba” senza rischi. I carabinieri dicono: “E’ stato un lavoro da professionisti”. Gli amministratori locali rimbalzano: “E’ stata una ragazzata”. In provincia di Milano si incendiano tabaccherie, bar, locali pubblici, perfino cinema multisale in pieno centro, ma è sempre un cortocircuito, ovvero le cosche come problema elettrico. Saltano le auto ed è sempre per autocombustione, ovvero le cosche come problema termico. A Bordighera e un po’ in tutto l’imperiese si incendiano stabilimenti balneari e negozi, ma il questore smentisce l’offensiva criminale, che invece la magistratura denuncia con forza. Il governo del nord ha deciso di mettere il bavaglio anche qui: guai a chi parla di mafia nelle nostre terre, che nessuno si mobiliti, guai a chi ci rovina l’immagine, l’Expo milanese deve temere semmai la criminalità straniera, anche se sono le imprese della ‘Ndrangheta a essere spuntate nei lavori delle autostrade e nell’alta velocità. Basta con gli scandalismi; e se c’è un clan è perché ce l’ha mandato Roma trent’anni fa con il confino.

C’è un allarme settentrionale, rendiamocene conto. Un’emergenza che va colta rapidamente. Cambiando i sistemi degli appalti, difendendo con unghie e denti le intercettazioni sui reati “satelliti” (un incendio di una ruspa non è un incendio e basta…), puntando a raffica gli accertamenti sui negozi e ristoranti del riciclaggio, e altre cose ancora. Ma prima di tutto dicendo che il nemico c’è, esiste. Quello che è successo al sud, non dimentichiamolo mai, lo dobbiamo ai sindaci e ai politici che negavano l’esistenza della mafia. Lo dobbiamo al cardinale Ruffini, che faceva altrettanto. Lo dobbiamo a quel Tito Parlatore, procuratore generale della Cassazione che al processo agli assassini del sindacalista Salvatore Carnevale disse che la mafia era materia per i sociologi, mica per i tribunali. Anche il nord oggi ha i suoi Lima, i suoi Ruffini, i suoi Parlatore. Che siano costretti da subito a prendersi le loro responsabilità.

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