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Chi ha paura di Vittorio Grevi?
Il Fatto Quotidiano
28 luglio 10
Chi ha posto il veto su Vittorio Grevi? La notizia circola e viene data per certa. La candidatura del professor Vittorio Grevi al Consiglio superiore della magistratura in qualità di membro laico eletto dal parlamento (con possibile, successiva elezione a vicepresidente) è destinata all’affondamento non in base a una valutazione comparata di curricula accademici, scientifici o civili. Ma sulla base di un veto espresso ad alto livello nei confronti della sua persona. Sicché insorge subito il bisogno di sapere. Chi e perché ha messo questo veto?
Non richiesto da nessuno, ma perché si capisca il senso di quello che sta accadendo, perché questa mia domanda venga condivisa, vorrei abbozzare un profilo del candidato proibito. Vittorio Grevi è anzitutto un professore di procedura penale della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia. Uno dei giuristi italiani più stimati, uno dei massimi processualisti, come si dice in gergo. Quando lo conobbi molto tempo fa (ma preciso: non c’è mai stata tra noi una stretta frequentazione) vidi subito in quanta considerazione lo tenesse Adolfo Beria d’Argentine, grande magistrato e organizzatore di cultura giuridica e sociale. Di Grevi da allora ho sempre apprezzato la radicalità della scelta compiuta come docente universitario di diritto: quella di non esercitare l’avvocatura per non fare influenzare le proprie opinioni e i propri scritti dai naturali interessi di difensore e nemmeno dagli intrecci di relazioni che si stabiliscono con i colleghi di professione forense. Ha insomma voluto tenere la scienza al di sopra dei troppi e mutevoli interessi di parte. Una scelta che nell’università italiana fanno pochissime mosche bianche del diritto. Una scelta che è anche una rinuncia a cospicui benefici materiali visto quel che potrebbe esigere in parcelle un giurista del suo prestigio. E che va a vantaggio anche degli studenti. I quali, salvo convegni, hanno sempre a disposizione il proprio professore in università, secondo un costume che è anche questo da mosche bianche.
Dunque un intellettuale da torre d’avorio? No, perché Grevi ha dimostrato nei decenni una particolare sensibilità per gli intrecci tra giustizia e società. La sua facoltà è da sempre sede di convegni, seminari organizzati per gli studenti e per la città di Pavia: sulle riforme della giustizia (con Giovanni Conso ha curato un compendio di procedura penale, con un importante “commentario giurisprudenziale”) come sulla corruzione o sulla mafia. Temi ai quali ha sensibilizzato e formato generazioni di studenti, chiamando per loro decine e decine di studiosi e protagonisti da ogni parte d’Italia. Forse non è senza significato che le ultime foto di Giovanni Falcone in pubblico siano state scattate proprio all’università di Pavia, dove il giudice era stato invitato a parlare ai giovani allievi di giurisprudenza.
Non solo. Nella lunga storia delle tensioni tra giustizia e affarismo politico, tra principio di legalità ed eversione costituzionale, Grevi -distinguendosi in un viavai di opportunisti- ha sempre tenuto ferma la bussola del diritto e della Costituzione anche nella sua qualità di editorialista del Corriere della Sera, precludendosi gli allori che toccano ai sapienti cortigiani.
La domanda è dunque: che cos’ha fatto, che io non sappia, questo professore perché dal campo del centrosinistra venga espresso un veto nei confronti di una sua candidatura al Csm e poi eventualmente alla sua vicepresidenza? Ha fatto commercio delle sue opinioni? Appartiene a una loggia massonica? Frequenta le cene di Vespa? E’ stato intercettato mentre parlava con Verdini? Ha messo la sua sapienza al servizio di lodi incostituzionali? Se di nessuna di queste e analoghe colpe egli si è macchiato, siamo autorizzati a credere di tutto. Anche che forse sia proprio il suo profilo di assoluta affidabilità istituzionale a renderlo sconsigliabile per la carica più istituzionale nell’amministrazione della giustizia. E che la politica punti a una giustizia “maneggevole”, proprio in una fase delicatissima in cui è interesse del Paese che essa riacquisti per intero la sua indipendenza. Chissà se qualcuno saprà mai darci una risposta decente. E che non ci metta in imbarazzo come cittadini democratici.
Nando
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